I fratelli Artusi, da operai a imprenditori: la nostra pasta nel mondo con Eataly

«Lavoravamo come operai per un noto pastificio. Io appena maggiorenne, mio fratello di 21 anni: ci siamo guardati e abbiamo deciso di mettere in piedi un laboratorio tutto nostro» ricorda Enrico che un quarto di secolo racconta con orgoglio dell’approdo di Artusi ai tavoli e sugli scaffali di Eataly

Maura Delle Case

Oggi la loro pasta ripiena è servita da Eataly. Una vetrina, quella dei locali di Oscar Farinetti, che i fratelli Enrico e Alberto Artusi mai avrebbero potuto immaginare quando nel 1998, a vent’anni o giù di lì, decidono di lasciare il posto fisso per scommettere su se stessi e aprire impresa.

«Lavoravamo come operai per un noto pastificio. Io appena maggiorenne, mio fratello di 21 anni: ci siamo guardati e abbiamo deciso di mettere in piedi un laboratorio tutto nostro» ricorda Enrico che un quarto di secolo racconta con orgoglio dell’approdo di Artusi ai tavoli e sugli scaffali di Eataly, in Italia ed Europa, ma anche nei 280 negozi della catena francese Grand Frais con cui l’azienda padovana ha appena firmato un contratto di fornitura per l’intero 2023 grazie all’immediato successo del rapporto avviato appena lo scorso mese di settembre. Tornando agli esordi, il primo salto l’impresa lo compie quasi subito: poco tempo dopo l’apertura della prima bottega, il destino bussa alla porta degli Artusi.

«Viene a mancare il proprietario dello storico pastificio Nello di Padova, che aveva il laboratorio nella galleria del palazzo della Ragione, in piazza delle Erbe. Decidiamo di acquisirlo. Mettiamo insieme i nostri Tfr, papà ci dà una mano, la banca ci sostiene» ricorda Enrico che assieme al fratello si butta anima e corpo nell’impresa. A La Guizza la produzione, nel salotto buono di Padova la vetrina. «Abbiamo iniziato così, comprando qualche macchinario, a fornire della nostra pasta i locali della città».

La crescita è subito sostenuta e richiede un nuovo trasferimento, da La Guizza a Due Carrare, dove la produzione aumenta di pari passo con i clienti, che sono soprattutto ristoranti, ma anche boutique alimentari. Accanto alla pasta freschissima, Artusi inizia a confezionare il prodotto, garantendosi un più lungo tempo di conservazione che è essenziale all’apertura dei mercati esteri.

«Il primo dipendente - ricorda l’imprenditore padovano - l’abbiamo assunto nel 1999, oggi siamo 25 impegnati tra la produzione, ospitata in un nuovo capannone aperto a Casalserugo nel 2012, uffici e negozio». Una vetrina, quella padovana, alla quale due fratelli sognano di tempo di affiancarne una a Venezia.

Un sogno solo momentaneamente chiuso nel cassetto, a causa della congiuntura economica - «ma anche del fatto che si fatica a trovar gente che si voglia impegnare» confessa Enrico -. Il Covid anche qui si è fatto sentire, ma il 2020 è anno ormai dimenticato. L’azienda si è rimessa in marcia nel 2021, ha chiuso a 2,2 milioni di euro di ricavi, quest’anno ha messo a segno un aumento del 40% che la porterà a 3,4 milioni di euro, lanciata verso i 4,8 milioni del prossimo.

«A gennaio abbiamo fatto un importante investimento in Industria 4.0 su un macchinario che ci ha permesso di portare la produzione del nostro prodotto di punta, il cappellaccio fatto a mano, da 300 chili al giorno a 800 chili all’ora» spiega ancora Artusi precisando che la macchina fa molto, ma alla fine fondamentale - e sempre più difficile da trovare - resta la mano dell’artigiano che chiude i cappellacci uno per uno, mettendoci know how, cura e passione. L’aumento della produzione è essenziale a sostenere la crescita dell’azienda, sempre più ricercata, in particolare dai negozi gourmet e dai ristoranti, grazie a un’intuizione avuta anni addietro dai fratelli Artusi che ha permesso loro di distinguersi nell’affollato mondo della pasta ripiena tricolore.

«Abbiamo iniziato a lavorare con le Dop diventano soci di 13 denominazioni. Quando le usiamo riportiamo il marchio sulla confezione dei nostri prodotti. Lavoriamo moltissimo con il territorio - evidenzia Enrico -, che ci garantisce filiera corta e alta qualità, nonché di trattenere il valore aggiunto delle produzioni in loco. Pensiamo alla farina “1 kilo 2 passi“ prodotta dagli agricoltori del consorzio agrario di Padova e Venezia» conclude Artusi che del sodalizio strettissimo e rispettoso con il territorio ha fatto uno dei suoi punti di forza.

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