Trinco, Consorzio Doc FVG: «Si fatica a reggere con tariffe al 30%»
Il presidente insiste: «Bisogna trattare a ogni costo. I vini delle zone più pregiate subiranno danni minori»

«Sembra di stare da mesi sulle montagne russe. Alla lunga, non è un bel vivere». Stefano Trinco, enologo, imprenditore vitivinicolo è stato appena confermato, fino al 2028, alla presidenza del Consorzio Doc Friuli Venezia Giulia.
La Denominazione di origine controllata più estesa della regione (20 mila ettari potenziali), 86 aziende aderenti e 30 milioni di bottiglie con l’etichetta tra bianchi, rossi e spumanti nel 2024. Trinco ha il polso della situazione dei produttori e, all’indomani delle tariffe monstre degli Usa nei confronti del vino italiano (e di tutte le altre merci) ripete una sola parola: «preoccupazione, preoccupazione, preoccupazione».
Presidente Trinco quanto pesano incertezza e dazi al 30% per l’export?
«C’è da dire che finora non ci sono state ripercussioni importanti sulle vendite dal Friuli Venezia Giulia. Nel primo trimestre l’export negli Usa è andato bene, adesso c’è un rallentamento, ma i distributori si sono riempiti di prodotto nei mesi precedenti, proprio perché si temevano i dazi. Ma non è questo il nodo da sciogliere».
E qual è allora?
«Abbiamo fatto le nostre valutazioni in queste settimane, eravamo quasi rassegnati a una tariffa del 10%, era scontato, vista la difficoltà delle trattative. Qualcuno temeva il 20%, una cifra che era ancora possibile assorbire, facendo sacrifici tra produttore e importatore e limitando i margini. Con il 30% invece diventa pesante proprio l’acquisto dei quantitativi di vino, perché noi friulani siamo in una fascia media. Il Pinot grigio delle Venezie, per esempio, è uno dei vini più coltivati, una parte della produzione andrà in sofferenza. È quel 30% che scombina tutto».
Perché questa differenza importante?
«Il dazio è una sorta di moltiplicatore. Quel 30% deve “viaggiare” tra distribuzione, costi, provvigioni che aumentano, c’è tutta una filiera che ne risente. E c’è il rischio, concreto, che il prezzo finale di un calice in enoteca o di una bottiglia in ristorante rincari più del 30%».
Adesso si naviga a vista?
«L’ultima parola, in questo momento ce l’ha l’importatore negli Stati Uniti. Se fa un po’ di conti e dice che con il 30% andiamo fuori mercato, non fa proprio partire le bottiglie dall’Italia».
Trattativa o ritorsioni, cosa è meglio fare?
«Bisogna andare alla trattativa a ogni costo, fino all’ultimo momento utile. La guerra commerciale è dannosa per tutti, non so se i consumatori americani saranno contenti di pagare molto di più un bicchiere di rosso o di bianco».
In Friuli Venezia Giulia quali tipologie di vini potrebbero avere la peggio? Quelli delle zone nobili, Carso, Colli Orientali, Isonzo e Collio, o gli altri, quelli di fascia media?
«Le aziende più brandizzate, più forti del Collio, Colli orientali, ma anche di pianura, continueranno a vendere in America. I produttori più piccoli, che si stanno affacciando su quel mercato o che hanno lavorato solo sul prezzo, potrebbero essere penalizzati. I nomi più conosciuti e meglio distribuiti avranno danni limitati».
Non resta che cercare mercati alternativi: opzione praticabile?
«È molto più complicato vendere in India o in qualche Paese Brics. Sono aree dove non c’è tradizione, gli Usa invece sono un riferimento».
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