Guerra dei dazi, Scocchia (Illycaffè) : «L’Europa sia all’altezza, scenda in campo per le imprese»

Per l’amministratore delegato di Illycaffè la politica industriale deve diventare una priorità strategica per l’Unione

Giorgia Pacino

L’appello è a un’Europa forte, che «scenda in campo per aiutare le aziende». Anche se il timore è che oggi l’Unione «non sia all’altezza di una sfida che bisognerebbe affrontare in maniera compatta».

Per Cristina Scocchia, amministratore delegato di illycaffè, i dazi minacciati dall’amministrazione Trump all’indirizzo dell’Unione europea sono solo l’ultimo tassello di una «tempesta perfetta» che da mesi ha colpito il mercato del caffè, tra prezzi record, difficoltà logistiche e speculazioni finanziarie.

La minaccia di nuovi dazi sta già avendo un impatto anche sul vostro settore?

«Trump ha annunciato dei dazi, ma non sappiamo ancora se il caffè sarà uno dei settori considerati. Ovviamente, speriamo di no. Nel frattempo, ci siamo mossi e stiamo valutando l’opportunità di produrre anche negli Stati Uniti il prodotto che poi commercializzeremo sul mercato americano. La nostra presenza in Italia non è in discussione: continueremo a essere un’azienda fieramente italiana e fieramente triestina. A Trieste abbiamo appena confermato 120 milioni per il raddoppio della capacità produttiva e abbiamo assunto negli ultimi mesi 80 persone nella fabbrica. Tutto questo è confermato».

C’è già un progetto per portare la produzione negli Usa?

«Stiamo valutando se è opportuno, in quali tempi e con quali modalità, produrre negli Stati Uniti per il mercato statunitense, per non incorrere nei dazi che peggiorerebbero in maniera importante i margini aziendali. Nel momento della tempesta perfetta, mancavano solo i dazi».

Qual è oggi la situazione del mercato?

«Il caffè verde è rimasto stabile per sei anni, tra il 2015 e il 2021 a circa 100-130 centesimi per libbra. Nel giro di soli due anni è raddoppiato toccando i 250 centesimi per libbra e, quando speravamo che iniziasse la discesa, l’accelerazione si è fatta ancora più forte e siamo arrivati a toccare proprio poche settimane fa i 430 centesimi per libra che è il record storico degli ultimi 70 anni. In questo momento c’è una spinta inflattiva delle materie prime che non aiuta il settore. Le aziende più grandi e più solide come noi non hanno problemi, ma i roster più piccoli hanno delle problematiche. È possibile che ci sia un’intensificazione dell’attività di M&A, perché tanto più piccola è l’azienda, tanto più c’è un rischio di tenuta finanziaria».

L’aumento dei prezzi produce effetti anche sul consumatore finale.

«Quello che vediamo è in generale un rialzo dei prezzi al consumo. Nella Gdo in Italia i prezzi sono cresciuti mediamente su del 10,5%, circostanza che ha causato una contrazione dei volumi del 2%. È naturale che ci sia una certa elasticità al prezzo, anche perché il caffè non è l’unico prodotto toccato dalle spinte inflattive e le famiglie devono portare a casa un carrello adeguato alla propria capacità di spesa».

Come intervenire?

«Va monitorata proprio la risposta a questi aumenti di prezzo, che sono inevitabili perché le aziende hanno anche un limite a quanto possono comprimere i propri margini. Per questo mi piace un po’ anche allargare lo sguardo: in questo momento ogni azienda deve provare a definire le proprie strategie e i propri piani, ma forse bisogna alzare lo sguardo e fare ragionamenti più alti e chiedersi cosa può fare l’Unione europea per le aziende europee».

Ritiene che non stia facendo abbastanza?

«Per l’Europa è un momento difficile, perché l’economia è stagnante. Dipendiamo troppo dall’export: il 55% del Pil europeo dipende dall’export, contro il 37% del Pil cinese e il 25% di quello americano. Siamo in una situazione negoziale difficile, ma questo è il momento in cui serve un’Europa più forte che inizi non solo per il settore del caffè ma in generale per le aziende italiane ed europee a scendere in campo e ad aiutarci con una politica industriale, un Industrial Deal che fino a oggi è mancato».

Teme che ci sia la tentazione tra gli Stati membri di dividersi nei negoziati con gli Usa, sperando in condizioni di favore per le proprie aziende?

«Credo ci sia il rischio che l’Europa non sia all’altezza di una sfida che bisognerebbe invece affrontare in maniera unita e compatta. Se guardiamo al recente passato l’Europa si è formata e si è rafforzata nei momenti di crisi. Sicuramente adesso le crisi non mancano né a livello geopolitico né a livello macroeconomico: è il momento per l’Europa di accelerare sull’integrazione ed è importante che l’Unione europea riesca a mettere a fattor comune risorse ingenti da allocare sulle priorità strategiche».

Quali?

«Ne vedo tre: l’autosufficienza energetica, la difesa comune e questo piano industriale, quindi investimenti in intelligenza artificiale e tecnologie digitali, ma anche protezione dei settori più tradizionali come il nostro».

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