Caffè, risalgono i prezzi. Mingardi: «Più che i dazi pesano clima e regole»

Il 6 agosto è entrata in vigore la tariffa Usa del 50% sui prodotti esportati dal Brasile. La quotazione dell’Arabica è tornata a sfiorare i 400 centesimi di dollaro per libbra. La presidente dell’Associazione Caffè Trieste: «Se aumenterà la tazzina? Non ci saranno ribassi»

Giorgia Pacino

 

La curva ha invertito la rotta. Dopo il picco di febbraio e la progressiva discesa avviata a partire dal mese di maggio, ad agosto è ripresa la corsa dei prezzi del caffè. Ieri i futures sull’Arabica, negoziati sull’Ice di New York, sono stati quotati a 398 centesimi di dollaro per libbra, contro i 283 del mese precedente. A fine luglio sulla Borsa di Londra la Robusta era quotata 3.202 dollari per tonnellata, ieri ha raggiunto i 4.908 dollari. Colpa delle preoccupazioni per il calo delle esportazioni brasiliane, che hanno riacceso i fari della speculazione sul mercato del chicco.

«A giugno la situazione sembrava in miglioramento: dopo le salite continue della Robusta e il picco dell’Arabica che a febbraio aveva toccato i 400 dollari per libbra, già dal mese di maggio avevamo cominciato a vedere una leggera discesa su entrambe le qualità», ricorda Arianna Mingardi, presidente dell’Associazione Caffè Trieste.

La data di inizio della nuova curva ascendente si avvicina molto a quel 6 agosto, giorno dell’entrata in vigore dei dazi del 50% imposti dagli Stati Uniti al Brasile, da cui arriva il 30% del caffè mondiale. Da allora chi acquista il caffè ha iniziato a puntare su un aumento, innescando nuovamente la corsa dei prezzi. «Le opinioni sono diverse, ma lascerei per ultimi i dazi», è l’analisi di Mingardi.

«Sicuramente c’è paura che manchi il prodotto brasiliano, anche perché ci sono state delle gelate in alcune zone del Paese nel periodo di raccolta. Queste notizie, unite al timore di un raccolto inferiore alle aspettative, hanno fatto andare su i prezzi dell’Arabica e di conseguenza anche quelli della Robusta. In più – prosegue Mingardi – si sta avvicinando l’introduzione del regolamento Eudr e c’è il timore che le quantità di caffè certificato disponibili non siano abbastanza per far fronte alle richieste delle aziende che lavorano o esportano in Europa».

Il riferimento è allo European deforestation-free products regulation, la normativa dell’Unione europea che mira a impedire l’ingresso sul mercato europeo e l’esportazione di prodotti che contribuiscono alla deforestazione globale. Il regolamento impone la tracciabilità completa dalla piantagione al caffè torrefatto e richiede alle aziende di aggiornare i propri sistemi informativi per incorporare tali dati.

Per adeguarsi le grandi e medie imprese hanno tempo fino al 31 dicembre, le piccole e le micro fino al 30 giugno 2026. A settembre partiranno i webinar organizzati dall’Associazione insieme al Gruppo italiano torrefattori, per aiutare gli associati (29 ordinari e 19 corrispondenti) a uniformarsi al regolamento.

E i dazi? Per la presidente dell’associazione che da 134 anni raggruppa torrefattori, spedizionieri doganali, trasportatori, trader e assaggiatori, più che il dazio in sé è la notizia della sua imposizione a spingere gli aumenti.

«Ogni notizia negativa va a intaccare i prodotti quotati in Borsa. Il dazio del 50% incide sul mercato e sulle torrefazioni americane che acquistano caffè crudo dal Brasile, per noi europei che vendiamo caffè torrefatto negli Usa il dazio resta del 15%».

Se la situazione resterà quella attuale, per Mingardi non dovremmo aspettarci a breve un nuovo rialzo del costo della tazzina al bar. Oggi viaggia in media sui 1,22 euro, ma, come ha fatto notare dal Meeting di Rimini l’ad di Illycaffè Cristina Scocchia, è già aumentata del 20% negli ultimi quattro anni. E potrebbe lievitare ancora. «Non credo ci saranno immediatamente dei ritocchi sulla tazzina, al momento non abbiamo sentore di un aumento al bar o allo scaffale. Non ci saranno dei ribassi, questo è evidente», conclude Mingardi.

«Bisognerà aspettare dicembre o l’inizio del 2026 per capire se la situazione di subbuglio internazionale, tra mancanza del prodotto e speculazione, possa nuovamente interferire sul prezzo finale». 

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