Beraldo (Ovs): «Vogliamo aprire nei centri medi e piccoli e nel 2021 macineremo buoni risultati»

La crisi Covid-19 e la nuova fase dell'economia nazionale interpretate da Stefano Beraldo, amministratore delegato di Ovs «La gente non smette di frequentare i negozi ma nel contempo deve essere facilissimo fare acquisti con lo smartphone»

L'intervista

Previsione unanime: il commercio è "la" vittima per eccellenza del virus. Sta cambiando il panorama delle nostre città, perché è in atto una rivoluzione dei consumi. Lo sa bene Stefano Beraldo, prim'attore nel campo dell'abbigliamento, 63 anni, appena riconfermato amministratore delegato di OVS. Beraldo non è però affatto catastrofista (per OVS). Cosa succederà al sistema moda? Vivremo solo di Amazon? Il web sarà l'unico canale? La gente comprerà meno fast fashion? I negozi moriranno? Le grandi catene lasceranno i centri storici? Andremo a un rafforzamento dei grandi marchi che acquisiranno le catene minori?

Beraldo ha ben in mente tutte queste domande che Covid 19 suscita. E comincia proprio dall'ultima: «Siamo alla vigilia di una nuova potente stagione di consolidamento del mercato, che in Italia rimane molto frammentato. Basti dire che il gruppo Inditex in Spagna pesa oltre il 15% e noi, che siamo i primi in Italia, valiamo solo poco più dell'8%. Ci sarà purtroppo chi non riuscirà a riprendersi dopo due mesi di chiusura totale, e di riduzione dei consumi. Noi abbiamo svariati dossier sul tavolo».

Ma l'Italia è un paese su cui investire ancora per comperare reti di negozi? H&M e Zara, per esempio, stanno puntando sempre più sulle vendite online.

«Dal 2008 abbiamo acquisito e integrato otto aziende, a partire da Upim, ma anche Bernardi, Iana, Melablu, Gusella e altre ancora. Acquisizioni avvenute salvando l'occupazione e rilanciando centinaia di negozi. Upim pareva una partita disperata con quasi 15 milioni di euro di perdite operative all'anno, oggi genera ricavi per 250 milioni, con 400 negozi anche in franchising, con 30 milioni di margine operativo lordo. In questo momento stiamo esaminando varie opportunità, anche di marchi posizionati nella top ten. Le chiamerei però aggregazioni, più che acquisizioni. Ci daremo il tempo necessario per uscire da questa fase critica del mercato e vedremo caso per caso. Sicuramente in Italia avverrà un importante riassetto. Stiamo tuttavia puntando anche all'on-line. Abbiamo da poco aperto anche il sito di Upim con risultati molto interessanti».

Come sta questa volontà di crescere a fronte di previsioni di crisi pesante dei consumi?

«Il bisogno della gente di vestirsi non finirà mai. La recessione e la disoccupazione comprimeranno i consumi. Ma nel 2021 noi torneremo a macinare buoni risultati, perché avremo migliorato e ampliato la rete dei negozi, aumentato le vendite multicanale. Solo a titolo di esempio, non posso negare che stiamo finalizzando una trattativa volta al subentro in poco più di 20 location dove, all'interno di complessi attualmente a insegna Auchan, verrebbe ridotta la superficie dell'ipermercato in funzione della realizzazione di altrettanti negozi OVS e UPIM; si tratta di posizioni di qualità all'interno di centri commerciali dove desideravamo già essere presenti».

Pensa già all'anno venturo perché il 2020 va dato per perso?

«Punto al pareggio di bilancio. Naturalmente chiuderemo l'annata con un arretramento a doppia cifra dei ricavi. Nel trimestre febbraio-aprile abbiamo avuto una contrazione del 68% causa lockdown. Ma siamo ripartiti e rilanceremo. Adesso non ci mancano nemmeno le munizioni, dato che siamo stati la prima grande azienda del settore a beneficiare di 100 milioni di prestito da parte del governo e garantito da Sace. Decisivo il fatto che ci siamo presentati al Covid in buono stato di salute, con 57,7 milioni di utile e avendo generato cassa per 66. Una dozzina di anni fa ci ho messo soldi miei, perché ero convinto di poterci fare una impresa più forte e resto di questo parere».

Cosa prevede il vostro piano di sviluppo? Quale sarà il mix tra negozi e online?

«Abbiamo aperto nella nostra storia decine e anzi centinaia di nuovi negozi, andando anche nei centri medi e medio piccoli, dove nessuno vuol più restare e dove H&M o Zara non hanno alcun interesse a entrare. Un nostro nuovo focus sta proprio nei centri fra 5 e 10mila abitanti. Dalla esperienza del virus ho imparato che la gente non smette di frequentare il negozio e che questo mantiene viva la sua ragione di esistere. Ma anche che devo dare un accesso facilissimo all'acquisto via smartphone e via Pc, cosi come un numero verde efficiente per assistenza all'acquisto online. Stiamo impegnandoci molto nello sviluppo delle relazioni uno a uno con i nostri clienti loyal, la cui base sta costantemente aumentando. L'on-line è un canale estremamente importante che, nelle esperienze internazionali, risulta tanto più efficace quanto più si accompagna ad una rete di negozi fisici, così da privilegiare forme di click and collect, meno gravose in termini di impatto ambientale».

Cambieranno anche gli stili di consumo?

«Penso andremo a una nuova sobrietà e mi auguro che ci sia un'evoluzione del fast fashion, che la gente sappia dare più valore alla qualità di tessuto, colori, fattura, sostenibilità ambientale. A mia figlia 15 anni fa non avrei mai fatto indossare un capo OVS per una questione di gusto. Noi OVS allora guardavamo solo al prezzo accessibile, poi Fiorucci, Capasa, ora Piombo ci hanno aiutato a mettere stile e cura. Il talento che si combina con i prezzi accessibili a tutti. E andremo avanti su questa via». --

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