Automotive, Veneto e Fvg al palo negli investimenti per il motore elettrico
I risultati di un’analisi del Cami di Ca’ Foscari insieme a Ircres-Cnr e con il supporto di Motus-E quattro anni di monitoraggio, oltre 2.100 imprese mappate a livello nazionale, 233 nel Nord Est.

Serve un “doppio decimetro” per misurare dove siamo e dove stiamo andando. E se il settore automotive, nel Nord Est come in Europa, vacilla sotto i colpi delle crisi geopolitiche, dei dazi, della transizione digitale ed ecologica, la risposta non può essere emotiva.
«Nervi saldi, piedi piantati a terra e dati alla mano», è stato l’invito del presidente di Confindustria Veneto Raffaele Boscaini nel dare il via all’incontro organizzato per presentare i risultati dell’indagine sulla filiera dell’auto condotta dal Cami (Center for Automotive and Mobility Innovation) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, insieme a Ircres-Cnr e con il supporto di Motus-E. Un lavoro di ricerca lungo e articolato – dieci anni di osservazione sulla componentistica, quattro anni di survey, oltre 2.100 imprese mappate a livello nazionale, 233 nel Nord Est, 182 in Veneto – che ha consentito di tracciare la morfologia di un settore industriale in trasformazione.
E, soprattutto, di capire chi sta correndo e chi rischia di restare indietro. «L’obiettivo dell’osservatorio non è offrire una narrazione preconfezionata, ma mettere a disposizione evidenze e dati. La nostra survey fotografa il punto di vista di circa 400 manager, rappresentativi di un universo di imprese che hanno massa critica e impatto concreto sulla filiera», ha spiegato Francesco Zirpoli, direttore di Cami e dell’Osservatorio Tea. A Nord Est il 47,3% delle imprese prevede di sviluppare nuovi prodotti nel periodo 2024–2027, un dato allineato alla media nazionale (51,9%). Mentre solo il 14,2% degli operatori investirà in nuovi prodotti per i veicoli elettrici (EV), contro una media italiana del 31%.

Non va meglio sul fronte dei processi: il 43,9% delle imprese del Nord Est introdurrà innovazioni di processo nel triennio, in linea con il dato nazionale (44,8%). Tuttavia, solo il 12,2% lo farà con focus esplicito sull’elettrificazione (contro il 19,4% nazionale). Secondo la professoressa di Ca’ Foscari Anna Moretti «l’investimento in processi innovativi legati all’elettrificazione è pressoché nullo, e anche quello sul prodotto è contenuto». Il 70,6% degli investimenti è rivolto ai componenti invarianti, elementi trasversali sia ai veicolo elettrici che a quelli con motore endotermico, come ad esempio trasmissioni, carrozzerie, elettronica, software, lavorazioni meccaniche.
Solo il 14% degli investimenti invece riguarderà l’elettrico. Una scelta che, nel breve periodo, sembra premiare. Il 51% delle imprese venete dichiara che la transizione elettrica non avrà impatti sul proprio portafoglio prodotti. Solo il 2,9% ritiene che l’intera produzione diventerà obsoleta.
Ma se da un lato la diversificazione aiuta – molte imprese del territorio hanno una dipendenza dal settore auto inferiore al 50% del fatturato – dall’altro questa illusione di invulnerabilità rischia di ritardare il salto tecnologico. L’elettrificazione, laddove viene affrontata, genera occupazione qualificata. Complessivamente, nel Nord Est l’impatto occupazionale netto previsto nel triennio è +3,7%, secondo solo all’Emilia Romagna (+5,5%). Chi non investe rischia dunque di perdere addetti e posizioni sul mercato. A preoccupare non è solo il ritardo tecnologico: il livello di automazione delle imprese italiane è molto più basso rispetto a quello di cinesi e sudcoreani.
Anche sul fronte software, le cifre parlano da sole: solo il 3,8% degli investimenti è destinato a sviluppi digitali, percentuale che scende al 2,9% nel Nord Est. «Eppure sappiamo che l’auto del futuro sarà un computer su quattro ruote», ha ricordato Giulio Calabrese, dirigente di ricerca Cnr-Ircres. Il 78% delle imprese venete utilizza fondi interni per finanziare la transizione, molto più della media nazionale. Di certo pesa il dato sul credito: le imprese più innovative dichiarano di avere maggiori difficoltà ad accedere ai finanziamenti. Il direttore dell’area Capitale umano e programmazione della Regione Veneto, Santo Romano, ha ricordato che proprio per sostenere questi processi la Regione ha messo in campo bandi specifici per l’automotive.
Secondo Raffaele Giora, presidente del gruppo chimica gomma plastica di Confartigianato Veneto, «le imprese non stanno davvero uscendo dalla filiera: semplicemente si stanno riposizionando. Molte producono anche per altri settori, quindi ribilanciano il mix di attività. Non è un abbandono, è un rientro nella propria competenza manifatturiera, in attesa di nuovi sbocchi».
Per Maurizio Basso, delegato di Confindustria Veneto per le relazioni industriali e l’education e ad del gruppo Cebi Motors, la trasformazione in corso ha implicazioni globali che vanno ben oltre il perimetro della filiera italiana: «Oggi però il paradigma è cambiato: la Cina non è più solo il laboratorio del low cost, è il centro del mercato globale. I cinesi non solo producono, ma stanno arrivando in Europa con auto elettriche competitive, anche in termini di prezzo».
La transizione in atto, secondo Basso, non consente più investimenti con logiche di payback tradizionale: «Il motore endotermico è destinato a scomparire. Chi investirebbe oggi su un prodotto in fase calante, con una vita utile di dieci anni al massimo?». «Chi lavora su componenti invarianti pensa di essere al sicuro, ma la trasformazione del mercato è già iniziata. I volumi non torneranno mai più a quelli del 2018, e chi aspetta la commessa potrebbe restare a mani vuote», è stato il monito di Zirpoli.
«Il problema non è chi decide di uscire dalla filiera, ma chi resta fermo mentre tutto cambia». —
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