Gamberale: «Tlc, la rete unica è indispensabile. Open Fiber deve allearsi con Tim»
Vito Gamberale, l’ex ad del gruppo delle comunicazioni: «Lo Stato ha sempre avuto un ruolo nei passaggi chiave.Fu Ciampi ad assegnare la seconda licenza per la telefonia mobile e a consentire l’ingresso dei privati nel 1997»

ROMA. «Indispensabile la rete unica per la banda larga, e Open Fiber deve convergere perché nelle reti, e soprattutto nelle tlc, i doppioni non funzionano», sostiene Vito Gamberale, manager di lungo corso tra le società pubbliche e private e tra l’altro ex amministratore delegato di Sip e poi primo ad di Telecom Italia Mobile e quindi dg di Telecom Italia.
«La rete unica ce l’hanno tutti – spiega –. E laddove le reti nazionali sono state duplicate, come in Australia e Indonesia, si sono registrati dei grandi fallimenti perché le reti, in genere, sono sempre univoche. Non esiste la doppia rete autostradale per andare da Roma a Milano e non esiste la doppia traccia ferroviaria, così come non esiste la doppia rete di trasmissione per la distribuzione dell’elettricità. E quelle sono reti più semplici di quelle di tlc, che ruotano attorno ad una intelligenza centralizzata e diffusa al tempo stesso. Francamente non capisco come si possa parlare di doppia rete: è come parlare di doppia testa, è assolutamente improprio. L’Italia in passato, proprio sulla rete, è già stata particolarmente bizzarra. La rete era univoca ma c’erano quattro gestori: c’era la rete di distribuzione locale in mano a Sip, quella nazionale in mano alle Poste, la rete internazionale gestita da Italcalble e la rete dei satelliti affidata a Telespazio. Poi, finalmente, nel’94 questo spezzettamento fu riunificato e quella fu la scintilla che negli anni Novanta ci consentì di fare di Telecom Italia il protagonista mondiale delle tlc, facendolo diventare l’operatore più avanzato e più presente nel mondo».
Con la rete unica oggi non ci sarebbero problemi di concorrenza?
«Ma Ntv e Trenitalia la concorrenza se la fanno sulla rete o se la fanno sul servizio?».
Ma la nuova rete unica va separata o no da Telecom?
«È giusto che Telecom che è l’incumbent, come avviene in tutti i paesi, abbia un controllo tecnico, gestionale, di manutenzione, di sviluppo e di evoluzione della rete. Poi, dal punto di vista della governance si può parlare».
Una soluzione potrebbe essere quella del coinvestimento, con altri operatori che apportano loro
partecipazioni in questo ambito o che acquistano a fermo traffico.
«C’è già un esempio in quella operazione che Tim ha fatto con Fastweb, che si è già detta disposta a partecipare all’operazione. Un rassemblement di tutti i vari spezzoni sarebbe certamente utile, perché eviterebbe duplicazioni inutili, che poi le duplicazioni finisce che le paga sempre l’utenza».
A proposito di duplicazioni, quindi l’operazione Open fiber promossa da Enel e Cdp è stata inutile?
«L’operazione Open Fiber nasce col governo Renzi per dare uno stimolo a Telecom a sviluppare la rete a larga banda. Una cosa che Telecom non era in grado di fare, pur volendolo, perché era bloccata da un indebitamento anomalo eredità delle bizzarrie eccezionali per cui i vari soci privati che si sono succeduti negli anni si sono passati di mano la società facendo debiti su debiti che poi venivano scaricati sull’azienda. Ai tempi di Sindona questo era reato, poi però le banche d’affari l’hanno imposto come sofisticazione. Il “dramma di Telecom” nasce dal maledetto stimolo di una banca d’affari che poi è fallita, la Lehman Brothers. Le banche d’affari, spesso, rispetto alle grandi aziende sono soggetti disinvolti. Puntano spesso a spezzettarle sfuggendo loro la visione industriale. Ma come diceva Nenni, due mezzi non fanno un’unità, quando si esce dalla matematica».
Le tlc sono strategiche eppure oggi in Tim comandano i francesi di Vivendi...
«Intanto va detto che in Tim è anche presente la Cassa depositi con una quota importante, per cui credo che più prima che poi si andrà a ridiscutere la governance. Poi, se volessimo fare una battuta, si può dire che Vivendi è una parola che evoca un gerundio e tutti i gerundi sono transeunti: insomma prima o poi… passano. Mentre il fatto che ci sia Cdp è certamente un perno di stabilità, per oggi e per domani e poi se l’operazione Open Fiber andasse in porto non c’è dubbio che Tim dovrebbe comprare la quota Enel, mentre Cdp conferirebbe la sua quota aumentando il suo peso. E del resto in Francia e Germania l’equivalente di Cdp, la Cdc e la KfW, sono presenti nei rispettivi incumbent».
Dopo che negli anni Novanta si è privatizzato tutto ed stata è liquidata l’Iri oggi si dice che le privatizzazioni sono state un fallimento…
«Ma ci si dimentica che le privatizzazioni più grosse che l’Italia ha fatto, quelle di Eni ed Enel, sono perfettamente riuscite. La gran parte del loro capitale è stato messo sul mercato, lo Stato ha mantenuto una quota attorno al 25% esercitando un ruolo importante nella governance e sono diventate grandi aziende di mercato che negli anni hanno sempre avuto manager straordinariamente validi. Quanto a Telecom diciamo che nel’96-‘97, quando il gruppo doveva essere privatizzato, il grande e mai abbastanza compianto Ernesto Pascale aveva suggerito in maniera molto calorosa al governo di allora e all’Iri di privatizzare nello stesso modo Telecom Italia. Ma non venne ascoltato».
E perché questo?
«Nei passaggi chiave che hanno riguardato le tlc un ruolo importante lo ha sempre avuto Ciampi. Fu lui a inizio del’ 94, subito dopo le elezioni perse dal centrosinistra, ad assegnare la seconda licenza per la telefonia mobile, e fu sempre lui nel ’97 nelle vesti di ministro del Tesoro a decidere l’uscita totale dello Stato da Telecom, a mandare a casa Pascale e a consentire l’ingresso dei privati sotto forma del nocciolino. Ciampi è stato certamente un grande presidente della Repubblica, ma forse bisognerebbe avere il coraggio di rileggere certi passaggi: un grande campione non necessariamente esprime il meglio in ogni disciplina».
Con questa Cdp “pigliatutto” sembra stia rinascendo l’Iri. Si sbagliò a liquidarla?
«La liquidazione di quell’esperienza avvenne più sulle suggestioni giornalistiche che sulle riflessioni tecniche, industriali ed economiche. Lo Stato oggi come allora continua a essere presente nelle imprese in Europa ed in vari paesi e lo stesso è in Italia. L’importante è che le partecipazioni vengano gestite non con una logica finanziaria ma con una logica industriale e con manager adatti. Io sono sempre del parere che nelle aziende che hanno un valore strategico, e taluni servizi come le tlc hanno certamente un valore strategico, lo Stato debba essere presente. E del resto la golden power non è una invenzione italiana, lo stesso fatto che si usa un termine anglosassone dimostra che ha una valenza internazionale».
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