UniCredit, il Tar decide sul golden power: sentenza entro il 16 luglio
Bruxelles: “Bloccare una fusione bancaria su base discrezionale non è legittimo”

Il Tar del Lazio si prepara a dire l’ultima parola sull’uso del golden power nell’Ops di UniCredit su Banco Bpm. Il dispositivo o la sentenza, con motivazioni, arriverà entro il 16 luglio. E proprio dal giudizio amministrativo italiano potrebbe partire la prima crepa nella legittimità di un intervento governativo che Bruxelles guarda con crescente scetticismo.
“Se una fusione bancaria è autorizzata sul piano prudenziale e della concorrenza, non vi è alcuna base giuridica nel mercato unico, né nell’unione bancaria, per bloccare un’operazione sulla base di una decisione discrezionale di un governo”.
La frase, scandita da un portavoce della Commissione europea, taglia netto il campo di gioco: nessuna discrezionalità economica può giustificare un blocco alla libera circolazione dei capitali. Solo motivazioni di interesse pubblico e in forma proporzionata possono reggere l’urto delle norme comunitarie.
Parole che pesano mentre i giudici amministrativi valutano il ricorso di UniCredit contro le prescrizioni imposte con Dpcm dal governo Meloni, nel cuore di un’operazione che – se portata a termine – cambierebbe volto al settore bancario italiano.
In aula, ieri, il legale della banca, l’avvocato Cintioli, ha denunciato “il nulla della motivazione” e “il fantasma della discrezionalità”, chiedendo l’immediata pubblicazione del dispositivo. Il presidente della prima sezione del Tar, Roberto Politi, ha confermato: la decisione arriverà nei tempi di legge.
Non si esclude però che i giudici scelgano una via europea. L’Avvocatura dello Stato, convinta della solidità dell’azione del governo, ha ventilato l’ipotesi di una remissione alla Corte di giustizia Ue, nel caso in cui il tribunale ravvisi elementi di incertezza sul diritto comunitario.
“Per noi non ci sono violazioni – ha affermato in aula un avvocato dello Stato – ma se ci fossero, che si chieda un chiarimento alla Corte”.
Nel frattempo, da Bruxelles nessuna lettera è ancora stata inviata a Roma. La Commissione conferma di aver ricevuto la documentazione richiesta a maggio e di essere “consapevole della scadenza del 23 luglio”, termine ultimo per l’adesione all’Ops. Ma il portavoce Ue taglia corto: “Non abbiamo concluso alcuna valutazione preliminare. Non abbiamo preso decisioni”.
Anche Giancarlo Giorgetti si trincera dietro l’attesa: “Sono cose di cui non posso parlare”. Eppure il ministro dell’Economia sa bene che sul tavolo non c’è solo il controllo di Banco Bpm, ma un nodo strategico su chi può decidere cosa in materia bancaria, tra Stati, mercato e istituzioni europee.
Come se non bastasse, il caso UniCredit ha da tempo varcato i confini italiani. Dopo l’ingresso al 20% nel capitale di Commerzbank, il governo tedesco ha rotto ogni prudenza diplomatica: “Sosteniamo l’indipendenza di Commerzbank e abbiamo già comunicato chiaramente a UniCredit che respingiamo questo metodo non amichevole e non concordato”.
Berlino ha già fatto sapere che non venderà la propria quota residua del 12%, confermando la propria ostilità a qualunque scenario di fusione.
Bruxelles, per ora, evita commenti sulle parole tedesche. Ma il contrasto è evidente. L’Italia invoca la sicurezza nazionale, la Germania la difesa dell’interesse strategico.
Entrambe manovrano, di fatto, il mercato. Resta da capire cosa dirà il diritto. E se, alla fine, la linea più sottile sarà proprio quella tra politica economica e politica industriale, tra ciò che un governo può ancora decidere e ciò che l’Europa non è più disposta a tollerare.
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