Private equity, acquisizioni raddoppiate a Nordest. E la crisi da Covid ha abbassato i prezzi

L'Osservatorio Pem (Liuc Business School) sul Nordest: 45 accordi fra gennaio e luglio contro i 21 del 2020 e i 14 del 2019

Luigi Dell'Olio
Un operatore di Borsa di una banca davanti ai monitor, Milano, 19 Ottobre 2018. ANSA / MATTEO BAZZI
Un operatore di Borsa di una banca davanti ai monitor, Milano, 19 Ottobre 2018. ANSA / MATTEO BAZZI

PADOVA. Il passaggio di Compagnia Portuale Monfalcone (Gorizia) a F2i Sgr, il principale gestore italiano di fondi infrastrutturali.

Ecosistemi, società con sede a Codevigo specializzata in sistemi di insonorizzazione di grandi linee di prodotto o macchine singole, passata nelle mani di Nb Aurora e di un gruppo di family office.

La Texbond di Rovereto, specializzata nella produzione di tessuto non tessuto, finita sotto il controllo di Quadrivio.

Sono solo tre esempi di aziende del Triveneto che nel corso degli ultimi mesi hanno visto cedere le quote di controllo a fondi di private equity.

Investitori finanziari che puntano su aziende con buoni fondamentali e una spiccata propensione internazionale per favorirne la crescita e poi rivendere, con la prospettiva di generare una plusvalenza.

Nel solo luglio, l'Osservatorio Pem attivo presso la Liuc Business School ha censito dieci deal (sette in Veneto, due in Friuli Venezia Giulia e uno in Trentino Alto Adige), il doppio rispetto allo stesso mese del 2020 e pari al 22% del mercato nazionale.

E che non si tratti di un fatto isolato è dimostrato dal confronto tra i primi sette mesi: ben 45 accordi conclusi tra gennaio e luglio del 2021 contro i 21 del medesimo periodo del 2020.Stagione particolareCerto, la primavera dello scorso anno è stata una stagione particolare per via del lockdown, ma il confronto è ancora più clamoroso con il 2019, caratterizzato da soli 14 accordi.

Il trend si presta a molteplici letture. Il fatto che gli investitori finanziari internazionali guardino con interesse alle imprese del territorio (quasi tutte quelle finite nel mirino dei fondi sono di carattere familiare) è positivo, in quanto sta a indicare la capacità attrattiva del sistema imprenditoriale.

I fondi non puntano su aziende decotte o con scarso potenziale, ma sulle realtà che hanno soluzioni d'eccellenza e un buon posizionamento di mercato, che può essere ulteriormente sviluppato. Il passaggio agli investitori istituzionali spesso è un modo per gestire il passaggio generazionale: quando un imprenditore ritiene che non vi siano le condizioni per una successione in ambito familiare, può vendere e distribuire l'incasso tra gli eredi.

Multipli bassi

A livello di sistema un fattore di preoccupazione può essere costituito dai casi in cui le aziende acquisite vengono depauperate del proprio know-how o dei propri punti di forza per trasferirli in capo alla nuova controllante estera, ma la storia degli ultimi anni segnala pochi esiti di questo tipo. Piuttosto oggi la vera incognita è legata ai prezzi: dopo la dura recessione pandemica, spesso gli investitori riescono a spuntare multipli (in genere il parametro al quale si guarda per stabilire il prezzo è il margine operativo lordo) particolarmente bassi, che non rispecchiano il potenziale di sviluppo dell'azienda.

Con il risultato che parte del valore aziendale non viene valorizzato.La crescita del private equity spiega anche in parte la freddezza di alcune aziende verso la quotazione in Borsa. Quest'ultima strada impone risultati su base trimestrale che spesso non sono in linea con chi ha strategie di crescita nel medio-lungo periodo, mentre i fondi si mostrano più pazienti. In cambio, però, ottengono di contare nelle decisioni strategiche, di fatto costringendo l'imprenditore a una convivenza non sempre facile. 

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