Mediobanca, i paletti di Delfin: nuovo presidente e 5 consiglieri

Iniziato il braccio di ferro in vista del rinnovo del Cda di piazzetta Cuccia. La finanziaria sarebbe pronta a presentare una lista di minoranza lunga
Roberta Paolini
Una sede di Mediobanca, in una immagine di archivio..ANSA/UFFICIO STAMPA MEDIOBANCA .+++NO SALES - EDITORIAL USE ONLY+++
Una sede di Mediobanca, in una immagine di archivio..ANSA/UFFICIO STAMPA MEDIOBANCA .+++NO SALES - EDITORIAL USE ONLY+++

L’accordo è ancora lontano. Ma adesso inizia a farsi pressante la necessità di arrivare ad una quadra. Il 15 di settembre va presentata la lista per il cda di Mediobanca. Eppure Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio che tiene il 20 per cento del capitale di Piazzetta Cuccia, e il vertice della banca governata da Alberto Nagel risultano su posizioni distanti.

Le ultime indiscrezioni vedono il negoziato spostato su tre capisaldi sul versante di Delfin. Le richieste da parte della finanziaria guidata da Francesco Milleri sarebbero: cinque consiglieri nel board, un presidente condiviso (o meglio detto, una terna di nomi in cui però non figuri l’attuale numero uno Renato Pagliaro) e una revisione della governance con un focus soprattutto ai posti riservati alle minoranze. Su questo punto in particolare, risulta che Delfin contesti il meccanismo per cui ad Assogestioni sia assegnato un posto in cda in caso raccogliesse il 2 per cento del capitale votante. Con la postilla, ricordano le medesime fonti, che l’attuale presidente di Assogestioni risponde al nome di Carlo Trabattoni, presidente di Generali Investments Partners, e quindi controllata di Generali di cui Mediobanca è azionista di riferimento. Enrico Cuccia affermava che le azioni non si contano, ma si pesano ed è evidente che la ratio di destinare all’associazione delle società di gestione una poltrona in un consiglio come quello di Mediobanca ha una sua ragion d’essere.

L’istituto guidato da Nagel, che ha respinto al mittente le richieste, avrebbe rilanciato offrendo la disponibilità a trattare su una lista unica e condivisa, in cui inserire tra i tre e i quattro rappresentati di Delfin (cinque su 15 componenti del board significherebbe il 33%), ma chiedendo un impegno scritto (cristallizzato presumibilmente in un patto parasociale) da parte della holding a supportare il piano per i tre anni di durata del cda, a non votare altre liste e a non avviare campagne attiviste.

Fonti vicine a Delfin sottolineano di aver sempre votato a favore in assemblea in questi anni e che nel momento in cui la lista fosse condivisa non si vedrebbero ragioni per non votarla. Su queste basi, riuscendo a raggiungere una intesa, ci potrebbe anche essere il presupposto per parlare del nome del presidente, ma fino a che non ci sarà un avvicinamento tra le parti, è il ragionamento, non esistono le condizioni per discutere di altro.

Se queste sono le rispettive posizioni c’è il contesto in cui il negoziato sta avvenendo. Nelle scorse settimane è circolata l’indiscrezione che vorrebbe Delfin pronta a presentare una lista di minoranza lunga. Se effettivamente la holiding andasse all’assemblea del 28 di ottobre con l’intenzione di contare i voti, la sua lista potrebbe attrarre anche altri azionisti, come Caltagirone (che ha il 10%), o magari Benetton (che ha il 2%).

E a quel punto potrebbe arrivare ad un risultato molto vicino alla lista del cda, tenendo conto che in assemblea è atteso tra il 60 e il 70 per cento del capitale. Con il rischio effettivo che la lista del cda di Mediobanca potrebbe vincere di misura come perdere. Nel secondo caso 6 o 7 consiglieri Delfin su un board di 15 renderebbero difficili equilibri e governabilità del cda guidato da Alberto Nagel. Comunque vada a finire, un redde rationem è a questo punto inevitabile. Ricordando che sulla direttrice Milano Trieste balla un dossier caldissimo come Banca Generali che subito dopo l’assemblea di Piazzetta Cuccia tornerà di attualità.

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