Mediobanca, continua la cura dimagrante del sistema del credito
Gli istituti dopo la pulizia dei bilanci hanno tagliato gli sportelli puntando più sulla gestione patrimoni che al mercato retail

Mentre si apre una nuova stagione del risiko bancario, con UniCredit che punta a conquistare Banco Bpm, Francesco Gaetano Caltagirone che sale in Mps, Bper e Credit Agricole alla finestra in attesa di sviluppi, anche nel corso del 2023 è proseguita la concentrazione del settore. Una tendenza spinta dalla necessità di difendere i margini a fronte della crescente pressione che arriva dai nuovi player e dalla diffusione di soluzioni d’investimento a basso costo che erodono quote di mercato ai prodotti più remunerativi per le banche. Senza trascurare il fatto che un numero sempre maggiore di utenti svolge buona parte delle attività online, senza più la necessità di recarsi in filiale o si affida a fintech che non hanno la licenza bancaria, ma offrono i servizi di cui l’utenza ha bisogno.
Secondo il “Focus sul sistema bancario italiano”, pubblicato come ogni anno dall’Area Studi Mediobanca, nel 2023 l’insieme delle banche italiane con totale attivo tangibile superiore a 50 milioni contava 323 unità, il 2,7% in meno rispetto al 2022 (332 istituti), per effetto delle operazioni di m&a. Il numero di banche Spa, con prevalente attività retail, è passato da 61 a 60 unità, quello delle Bcc da 225 a 220 (-2,2%). Gli analisti non rilasciano commenti in merito, ma sta di fatto che prosegue imperterrita la cura dimagrante dell’offerta bancaria nel nostro Paese. Nell’ultimo biennio le banche italiane hanno migliorato ulteriormente il proprio stato di salute, grazie soprattutto ai tassi alti che hanno consentito di accelerare il margine di intermediazione (dato dalla differenza tra i costi ai quali si finanziano gli istituti e le condizioni applicate alla clientela).
Dallo studio di Mediobanca emerge che nel 2023 il cost income ratio (rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione), uno dei principali indicatori dell'efficienza gestionale della banca, è diminuito al 55,3% rispetto al 66,4% nel 2022. Le svalutazioni crediti sono in discesa dal 9,5% al 5,9% dei ricavi e questo significa che ormai il nostro Paese ha raggiunto livelli europei. La grande pulizia dei bilanci bancari è stata fatta negli anni passati e ora non resta che fronteggiare situazioni di difficoltà inevitabili tra i clienti.
Conseguentemente, l’incidenza complessiva dei costi sui ricavi è diminuita di 14,7 punti, passando dal 75,9% del 2022 al 61,2% del 2023,. Il Roe – che indica il livello di redditività del capitale investito e consente di ipotizzare il rendimento atteso dagli investitori - si attesta al 17%, quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente (8,4% in più). Tuttavia lo scenario è molto diversificato tra i vari operatori considerati. Si va infatti dal 6,4% delle popolari al 47,3% dei gestori di patrimoni. E questo spiega – almeno in parte – l’evoluzione di tante realtà finanziarie, che sempre più negli ultimi tempi hanno ridotto l’attività tradizionale di concessione dei prestiti per dedicarsi alla gestione dei patrimoni. Una scelta dettata sia dalla volontà di limitare i rischi di insolvenza, sia dalle regole comunitarie, più penalizzanti per le banche tradizionali in termini di assorbimento del capitale. Con tutto ciò che ne deriva per il sistema dell’economia reale, dato che le imprese italiane restano fondamentalmente dipendenti dal credito bancario, con il mercato dei capitali ancora poco sviluppati e le Ipo che negli ultimi anni sono state inferiori ai delisting, se si esclude l’Egm, il listino di Piazza Affari riservato alle piccole realtà.
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