«Le imprese più forti a Nordest crescono di peso con le fusioni»

Giuseppe Puccio, responsabile Investment Banking di Banca Akros (Banco Bpm): “Si tratta di una combinazione di elementi diversi che in momenti straordinari, come nel caso della pandemia che stiamo attraversando, accelerano decisioni che normalmente le imprese concretizzano in molto più tempo”

Roberta Paolini

L’intervista

L’apertura del capitale e le aggregazioni come fattore di crescita. Giuseppe Puccio, Responsabile Investment Banking Banca Akros Gruppo Banco BPM traccia i fattori di competitività delle imprese nell’era post-pandemia

Dottor Puccio abbiamo assistito nell’ultimo anno ad una forte accelerazione sulle operazioni straordinarie con una accresciuta disponibilità degli imprenditori del Nordest ad aprire al capitale. Cosa è cambiato?

«Si tratta di una combinazione di elementi diversi che in momenti straordinari, come nel caso della pandemia che stiamo attraversando, accelerano decisioni che normalmente le imprese concretizzano in molto più tempo. Per esempio, in Italia ci sono molte aziende di piccole e medie dimensioni che da generazioni si riferiscono al medesimo gruppo familiare. Ebbene, oggi ci sono molti casi in cui quelle stesse famiglie che le governano hanno intrapreso rapidamente azioni di apertura del capitale delle loro imprese, convertendo un’ipotesi remota in una concreta azione di crescita e sviluppo. Uniamo a questo la grande liquidità attualmente in circolazione ed ecco che non solo aumentano le transazioni, ma avvengono anche con multipli di mercato molto elevati, ben al di sopra della media storica degli ultimi dieci anni. Un ruolo straordinario lo sta svolgendo il private Equity. Questo anche perché i mercati azionari e obbligazionari mostrano rendimenti contenuti e quindi i capitali degli investitori si spostano verso i cosiddetti asset illiquidi, l’orizzonte tipico del private Equity. In questo panorama, anche le operazioni di tipo industriale sono cresciute».

Perché le aziende hanno spinto verso le acquisizioni?

«Per aprire nuovi mercati essenzialmente. Parlo delle operazioni industriali. Anche le operazioni crossborder sono aumentate: molte realtà italiane hanno know-how di nicchia che il mercato internazionale ci riconosce e ricerca. Ma la cosa vale anche in direzione opposta: ci sono aziende italiane che sono cresciute all’estero. Possiamo dire che le operazioni in entrata e in uscita si equilibrano. Diverso è invece il tema che riguarda gli operatori finanziari che sono guidati da logiche diverse. I soggetti finanziari prediligono operazioni di tipo buy and build cioè acquistano più aziende con qualità, tecnologia, know-how e prodotti complementari per creare poli in determinati settori produttivi».

Lo abbiamo visto nel legno arredo e nel vino a Nordest. Due settori che hanno visto molto attivismo da parte dei fondi.

«È un fenomeno tipicamente italiano. Le nostre eccellenze si sviluppano in distretti e quindi si creano aree di riferimento. Avviene per l’arredo e il vitivinicolo a Nordest, per la pelletteria di alta qualità in Toscana, per il settore machinery in Emilia. E quello di aggregare distretti o filiere è un lavoro che svolge tipicamente il private equity per creare poli dimensionalmente più grandi rispetto alla singola azienda, in grado di competere in mercati più complessi, esportare e crescere per linee esterne. Se l’imprenditore non si mette d’accordo con il suo vicino, un private equity è invece in grado di aggregare e sviluppare le nicchie in cui ciascuna impresa esprime eccellenza».

L’utilizzo crescente di strumenti di debito o di equity collegato a specifici obiettivi di crescita è un altro segnale di cambiamento.

«Si, è un segnale di maturità. Anche le piccole e medie aziende hanno oggi accesso a strumenti che prima sembravano rivolti solo a operatori più grandi. È una forma di democratizzazione della finanza. Per affrontare mercati complessi le aziende devono essere più strutturate e trasparenti: solo così l’interesse da parte degli investitori istituzionali può diventare concreto. E lo dimostra il numero delle Ipo: sebbene nel mercato standard si siano visti pochi collocamenti, nell’Euronext Growth se ne sono concluse moltissime».

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