La sfida delle macchinetta da caffè: SharkNinja cavalca l’onda dei dazi, De’ Longhi cresce e studia contromosse

 

La Borsa premia il competitor statunitense, il titolo del gruppo italiano tiene.

+58% La performance del titolo del gruppo al Nyse negli ultimi 12 mesi

Roberta Paolini

 

Il caffè scalda i listini, ma il protezionismo americano serve la tazza più amara all’Europa. Nella contesa transatlantica delle macchine da caffè, SharkNinja vola e aggiorna i massimi storici, mentre De’ Longhi, pur mostrando numeri solidi, fatica a scrollarsi di dosso la zavorra dei dazi Usa.

A pochi mesi dall’annuncio dei dazi americani contro gli elettrodomestici importati – tra cui proprio le macchine da caffè – firmato da Donald Trump, gli investitori hanno già emesso il loro verdetto: SharkNinja decolla, De’ Longhi si difende ma non brilla.

Il confronto diretto tra i due titoli in Borsa – il colosso americano SharkNinja, quotato a Wall Street, e De’ Longhi, storico marchio italiano scambiato a Milano – mostra chiaramente il divario. Negli ultimi dodici mesi, SharkNinja ha messo a segno un balzo di oltre il 58%, mentre De’ Longhi si è fermata a un più modesto più 9%. Ma è il crollo sincronizzato di inizio aprile, coinciso con l’annuncio della stretta protezionistica del presidente Donald Trump, a raccontare una dinamica più profonda: quella di un’industria divisa tra chi ha saputo anticipare la tempesta e chi ha dovuto adattarsi in corsa.

SharkNinja ha saputo muoversi con anticipo. Dopo i primi round di dazi nel 2018, l’azienda americana aveva già trasferito quasi tutta la produzione destinata al mercato statunitense fuori dalla Cina, puntando su Vietnam, Indonesia e Malesia. Una strategia oggi vincente: mentre i concorrenti europei devono fronteggiare rincari e nuove barriere doganali, SharkNinja non solo ha evitato l’impatto dei dazi, ma è riuscita a trasformarli in un vantaggio competitivo.

I numeri confermano la solidità del modello. Nel primo trimestre 2025, la società ha superato le attese con ricavi pari a 1,22 miliardi di dollari e utile per azione di 87 centesimi, spingendo gli analisti a rivedere al rialzo la guidance. Il secondo trimestre ha confermato il trend: fatturato in crescita del 15,7% a 1,4 miliardi. Il mercato ha premiato la visione industriale: da aprile il titolo ha aggiornato i massimi storici.

Diversa la traiettoria borsistica di De’ Longhi. L’azienda trevigiana, leader europeo nel settore, ha subito un tonfo in Borsa in concomitanza con l’annuncio dei dazi Usa, per poi tentare un parziale recupero nei mesi successivi. Gli investitori temevano un impatto negativo sui margini, vista l’esposizione al mercato statunitense e una quota di produzione (stimata tra il 7 e l’8%) ancora legata alla Cina.

Tuttavia, i fondamentali si sono rivelati più solidi del previsto. Il gruppo ha annunciato l’intenzione di ridurre ulteriormente la dipendenza dalla Cina entro fine anno. Ma nonostante i numeri, il mercato resta cauto: il titolo si muove ancora sotto i livelli di inizio primavera, segno che gli investitori continuano a scontare una maggiore vulnerabilità rispetto al competitor americano.

Il primo semestre 2025 si è chiuso per De’ Longhi con una crescita del fatturato dell’11,3%, a 1,58 miliardi, trainata dal comparto caffè. In particolare, nel mercato nordamericano, che rappresenta circa il 18% del giro d'affari complessivo, i ricavi sono aumentati dell’11,6% nei sei mesi, grazie all’espansione a doppia cifra della divisione professionale e alla buona tenuta dell’area caffè nella divisione household.

Il quadro si è però complicato, con l’entrata in vigore – il 7 agosto – delle nuove tariffe doganali imposte dall’amministrazione statunitense. Una misura che penalizza un settore in cui la quasi totalità dei produttori – De’ Longhi inclusa – non dispone di stabilimenti produttivi in loco. L’impatto stimato per il gruppo veneto è di circa 15 milioni sull’ebitda a fine 2025, cifra calcolata al lordo delle misure correttive già attivate.

Tra queste, la rilocalizzazione della produzione degli small appliances destinati agli Stati Uniti dalla Cina verso altri Paesi del Sud-Est asiatico, come Thailandia e Indonesia, e un parziale aumento dei prezzi sul mercato americano. Una strategia articolata, pensata per mitigare gli effetti dei dazi senza compromettere la competitività.

E tutto ciò in un contesto competitivo che è diventato più dinamico, con l’ascesa di player come Ninja, citato anche in una morning note di Equita. Ogni mercato presenta sfide specifiche, questo è indubbio, ma negli Stati Uniti De’ Longhi ha continuato a investire in innovazione, marketing e presenza locale, con una controllata dedicata e un team attivo anche nel segmento nutrition – seppur privo di impianti produttivi. La dinamica nordamericana mostra una crescita robusta del caffè consumer, favorita anche dall’allargamento del mercato. Ninja, pur crescendo sul listino con dinamiche migliori del gruppo guidato da Fabio De’ Longhi, non sembra dunque sottrarre quote alla multinazionale italiana, ma piuttosto contribuire ad ampliare il mercato complessivo.

Per rafforzare la brand awareness, a settembre partirà la terza campagna globale sul caffè, con Brad Pitt ancora protagonista. De’ Longhi è abituata a espandersi, ma quest’anno i numeri raccontano una solidità trasversale: sia nel comparto professionale che in quello domestico, e in tutte le geografie. Per il secondo semestre, il management ha adottato un’impostazione prudente: il punto medio della guidance implica una crescita mid-single digit dei ricavi.

Tuttavia, per il 2026 l’impatto delle nuove tariffe è stimato come molto limitato. —

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