Inchiesta Autostrade, il presidente di Edizione dei Benetton Gianni Mion al telefono: «Manutenzioni in calare così c'erano più utili»

TREVISO. La dinasty di Ponzano si sveglia con l'ennesima sassata. Non è tanto e solo l'arresto dell'ex ceo di Atlantia e Autostrade Giovanni Castellucci, raggiunto ieri da una misura cautelare disposta dall'inchiesta gemmata da quella sul crollo del Ponte Morandi.
A turbare la famiglia Benetton, affermano fonti, sono le parole intercettate di Gianni Mion, il presidente di Edizione, lo scrigno dove è custodito l'impero miliardario della famiglia veneta. Parole crude, certamente decontestualizzate, ma che descrivono i Benetton come non pronti a gestire l'impero infrastrutturale, («Il management si era impossessato della loro testa», dice Mion) e dove si fa riferimento esplicito al calo degli investimenti in manutenzione a vantaggio di maggiori profitti per l'azionista.
«Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo ... così distribuiamo più utili ... e Gilberto e tutta la famiglia erano contenti». A parlare, intercettato in una conversazione con il professore emerito di economia Giorgio Brunetti è proprio il presidente di Edizione Holding. Mion e Brunetti sono totalmente estranei all'inchiesta, ma l'impianto accusatorio parte proprio da questa telefonata. Si tratta di una conversazione privata, sono parole certamente avulse da un contesto, ma sono frasi che pur nel loro carattere riservato imbarazzano alcuni membri della famiglia. Mion e Brunetti in più passaggi parlano della mancata capacità di governo di un oggetto come Autostrade da cui è scaturito un eccesso di delega e di fiducia a Castellucci. Dice Brunetti: «Quando hanno acquistato quella roba, era una roba che loro non potevano neanche governare...» e oltre «non avevano il fisico del governo giusto?». «Esatto», risponde Mion.
E ancora oltre chiamando in causa lo scomparso Gilberto e il fratello (non si tratterebbe di Luciano, tuttavia, almeno secondo alcune ricostruzioni). Dice Mion a Brunetti: «Ti ricordi poi poi Castellucci allora diceva "facciamo noi" e Gilberto eccitato perché lui lui guadagnava e suo fratello di più...». Un errore questo dell'ampia delega ammesso da Luciano in una lunga lettera in cui scrisse che la famiglia fu responsabile nell'aver «contribuito ad avallare la definizione di un management che si è dimostrato non idoneo, un management che ha avuto pieni poteri e la totale fiducia degli azionisti e di mio fratello Gilberto».
Un altro passaggio particolarmente significativo dell'influenza di Castellucci sul gruppo societario è una conversazione tra Mion e Carlo Bertazzo, ad di Atlantia, nel corso della quale il primo riferisce al secondo che Castellucci sta continuando a governare il processo aziendale del gruppo cercando anche di "seminare" il concetto secondo il quale Gilberto Benetton ed il consiglio di Atlantia fossero a conoscenza delle omesse manutenzioni sulla rete. Dice Mion: «Lui può darsi che abbia detto tre ca, perché, può darsi che detto tre o quattro cazzate ... Gilberto chissà cosa ha capito no?» E oltre «il nostro problema è l'incompetenza ... di Gilberto... non possiamo dirlo, no?».
Ed era vera la fiducia dello scomparso Gilberto nei confronti di Castellucci. Dopo il crollo del Ponte Morandi Castellucci va da Gilberto Benetton con le dimissioni in mano, l'uomo dei numeri della dinasty le rifiuta, non può credere che uno dei suoi delfini possa aver gestito un gruppo di quelle dimensioni "risparmiando" sulle manutenzioni ed è convinto che la sua uscita sarebbe un'ammissione di colpevolezza. Con l'evoluzione dell'inchiesta bis, gemmata dal troncone principale relativo al crollo del Ponte Morandi, emergono però dettagli inquietanti (i "report ammorbiditi") sulla gestione della sicurezza della rete di Aspi.
Gilberto Benetton nel frattempo muore, non leggerà mai quelle parole tremende che sporcano per sempre quello che è stato considerato, fino ad un certo punto, il capolavoro finanziario fatto con il capitale dei maglioni colorati.--
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