Generali avanti su Natixis: via la penale da 50 milioni, termini estesi a fine anno
Sottoscritto con i francesi di Bpce un addendum sul polo dell’asset management. Restano l’incognita del Golden Power e la contrarietà dei soci Delfin e Caltagirone

La trattativa tra Generali e Natixis non è chiusa. Anzi si avvia verso i tempi supplementari con un alleggerimento delle clausole in caso di disimpegno. La compagnia triestina ha annunciato, ieri, di aver sottoscritto con Bpce, che controlla l’asset management francese, un accordo modificativo del Memorandum of understanding che proroga fino al 31 dicembre i negoziati e cancella la break-up fee da 50 milioni di euro. Una mossa che evita penalità in caso di rottura, ma che lascia intatti i nodi politici. Inoltre l’operazione potrà concretizzarsi solo con il via libera dei consigli di amministrazione di entrambe le parti.
L’addendum, firmato il 15 settembre, prende atto «dell’avvenuto svolgimento delle rispettive consultazioni degli organi di rappresentanza dei dipendenti» e ribadisce che la conclusione di un accordo definitivo «sarà comunque soggetta alla preventiva approvazione degli organi competenti». Il dossier resta dunque vivo, ma sospeso in attesa di decisioni che vanno oltre i meri calcoli industriali.
Il progetto, annunciato lo scorso 21 gennaio, prevede una joint venture paritetica e blindata da un patto di 15 anni, con la fusione delle attività di Generali Investments Holding e di Natixis per creare un operatore globale da 1.900 miliardi di masse gestite e 4,1 miliardi di ricavi. L’amministratore delegato Philippe Donnet continua a sostenerne la validità strategica, ma le resistenze non sono state superate. La minoranza in cda – Marina Brogi, Flavio Cattaneo e Fabrizio Palermo – si è espressa nettamente contro la joint venture. A loro si sono aggiunte, scriveva ieri La Stampa, le perplessità di Clemente Rebecchini, consigliere in quota Mediobanca, che dovrebbe dimettersi dopo l’assemblea del 28 ottobre, quando Mps prenderà il controllo di Piazzetta Cuccia e inaugurerà una nuova governance.
Alla luce di questo passaggio cruciale, Rebecchini avrebbe suggerito, scriveva ancora il quotidiano, di prendere tempo e attendere gli sviluppi.
Non è solo una partita interna a Trieste. Il group ceo Donnet non vuole decretare la fine della partita. Se il negoziato dovesse entrare in un binario morto che siano il consiglio o l’esecutivo a prendersi la responsabilità di dire no. Fino ad allora, la linea resta quella di proseguire la trattativa, con la convinzione che con un asset manager da duemila miliardi in pancia Generali Investments possa conquistare una leadership globale nel risparmio gestito.
Resta da vedere se i prossimi tre mesi basteranno a sciogliere i nodi politici e societari. Per ora la trattativa resta sospesa in un equilibrio instabile, tra ambizioni industriali, contrappesi di governance e la lunga ombra del Golden Power. Dal lato francese, la cautela ha motivazioni più politiche che industriali. Bpce non intende mettere a rischio i rapporti con il governo italiano, pronto ad attivare il Golden Power sul risparmio gestito, considerato settore di interesse nazionale.
Resta poi intatto il nodo degli azionisti. I soci di riferimento di Mps – Caltagirone, Delfin e Mef – controllano l’86,3% di Mediobanca e, indirettamente, il 13,1% di Generali. Delfin e Caltagirone sono anche soci forti di Trieste. Un blocco che non ha mai nascosto dubbi e contrarietà sull’operazione. Donnet, invece, punta su un nocciolo duro di investitori italiani per convincere l’esecutivo sull’evoluzione positiva che potrebbe avere questo progetto industriale per la compagnia e per il contesto finanziario nazionale.
La scadenza di fine anno segna ora l’ultima finestra utile per decidere se imboccare la strada dell’alleanza o dichiararne ufficialmente l’archiviazione.
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