Bpm e Crédit Agricole al lavoro su una fusione che vale 400 miliardi
Il piano darebbe vita al terzo gruppo bancario italiano, con 2,7 miliardi di euro di utili. L’obiettivo dell’Ad Castagna è trovare la formula che metta al riparo dal Golden Power

Un gruppo da oltre 400 miliardi di euro tra raccolta e crediti, con una rete di 2.400 sportelli e 31 mila dipendenti: è questo il profilo del colosso che nascerebbe da una ipotetica fusione tra Banco Bpm e Crédit Agricole Italia, secondo i dati aggregati più recenti. Il nuovo soggetto vanterebbe proventi operativi netti per 8,8 miliardi e utili per 2,7 miliardi, collocandosi subito dietro ai colossi Intesa Sanpaolo e UniCredit. Va sottolineato che i dati si riferiscono al 2024 e mancano quindi quelli relativi all’acquisizione di Anima che farebbero ulteriormente salire la raccolta indiretta, ossia il risparmio gestito.
Il perimetro combinato comprenderebbe crediti alla clientela per 171 miliardi, raccolta diretta per 203,9 e indiretta per 222,4 miliardi, confermando una forte capacità di penetrazione nel mercato retail e nella gestione del risparmio. La rete resterebbe concentrata nel Nord, ma con una presenza crescente nel Centro e nel Sud grazie alle ex Cariparma di Crédit Agricole e agli sportelli ex Banco Popolare. Dal punto di vista industriale, l’integrazione darebbe quindi vita a una banca di matrice europea, con un mix equilibrato tra attività tradizionale e servizi a valore aggiunto.
Il gruppo francese apporterebbe competenze nel wealth management e nell’assicurativo, l’istituto guidato da Giuseppe Castagna la solidità della base corporate e retail. Ne risulterebbe un operatore con l’obiettivo di spingere su credito alle imprese, finanza sostenibile e bancassicurazione, con una governance complessa ma potenzialmente sinergica tra cultura francese e operatività italiana.
E dietro le quinte gli analisti sono al lavoro. Gli advisor - Deutsche Bank e Rothschild per Crédit Agricole, Citi e Lazard per Banco Bpm - lavorano a una formula che eviti il veto del governo legato al Golden Power, come è accaduto con l’offerta di UniCredit per Bpm. L’idea, secondo le indiscrezioni che stanno circolando nelle ultime settimane, è di replicare lo schema Sinochem–Pirelli: un azionista forte ma senza poteri di controllo strategico o operativo. Paletti che Parigi potrebbe accettare, magari in versione più flessibile.
Operativamente, Banco Bpm comprerebbe dai francesi la controllata italiana, riportando in mani italiane Cariparma, Carispezia e Credito Valtellinese e FriulAdria. Un’operazione che il governo non ostacolerebbe, ma sulla quale il ministro Giancarlo Giorgetti ha ricordato: «La legge vale per tutti, e come l’ho fatta rispettare agli altri la farò rispettare anche a loro».
Il nodo resta finanziario. Crédit Agricole Italia vale circa 5,5 miliardi, e la capogruppo controlla il 76%: servono 4,2 miliardi. Banco Bpm dispone di 2 miliardi di capitale in eccesso: ne mancherebbero altrettanti. Una parte potrebbe arrivare dal conferimento del 39% di Agos Ducato alla casa madre francese, un’altra da azioni proprie, evitando di toccare Anima Holding, di cui Piazza Meda possiede quasi il 90% dopo l’Opa conclusa in primavera.
Da parte francese sembrano non esserci irrigidimenti: ad oggi Crédit Agricole ha sostenuto le integrazioni bancarie e non ha mai avanzato pretese di governance. L’interesse sarebbe industriale - ampliare il credito al consumo e la distribuzione di prodotti finanziari - e la disponibilità a rispettare vincoli di autonomia gestionale appare alta.
Una soluzione del genere aprirebbe la strada a un nuovo equilibrio nel risiko bancario italiano, con la nascita del terzo polo del credito nazionale e la possibilità di successive aggregazioni con Mediobanca o Mps. A fari spenti si sta disegnando così il profilo di una banca europea: un progetto che potrebbe riscrivere la mappa del sistema finanziario del Paese.
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