Export in Africa: meccanica in testa, bene agritech e agrifood, rallentano le costruzioni
Il Nordest realizza un terzo dei 18 miliardi di esportazioni italiane nel continente africano. Sace: «Guardare a Costa d’Avorio, Senegal, Tanzania».

Il Nordest realizza circa un terzo dei 18 miliardi di euro di export italiano in Africa. Per tipologia di prodotti, la meccanica strumentale è in testa. Nel continente che dispone della più grande superficie arabile del mondo e che entro il 2050 raddoppierà la sua popolazione a 2,5 miliardi, di cui oltre 2 miliardi nell’area subsahariana, molto interessante è la domanda di tecnologie e know-how italiani per la meccanizzazione agricola e l’industria alimentare. Mentre la congiuntura attuale, con molti governi africani in difficoltà a sostenere il debito crescente e l’impennata dei costi delle materie prime, vede invece un rallentamento dei grandi piani di progetti infrastrutturali, a partire da quelli per il necessario potenziamento delle reti di trasporto e della logistica merci, in cui le aziende della filiera italiana delle costruzioni hanno comunque negli anni saputo ritagliarsi uno spazio rispetto alla crescente presenza cinese e di altri Paesi asiatici e mediorientali.
L’esigenza che si pone in ogni caso per i prossimi anni e decenni, in un contesto globale sempre più multipolare, è che Europa ed Africa possano costruire un effettivo percorso di sviluppo comune, non solo attraverso l’interscambio di beni (storicamente, soprattutto prodotti finiti e tecnologie industriali in una direzione, derrate agricole e materie prime minerarie ed energetiche nell’altra), ma anche di competenze professionali, know-how tecnico-scientifico, risorse finanziarie ed umane. Una prospettiva indicata la settimana scorsa della presidente del consiglio Giorgia Meloni, che ha rievocato l’esigenza di un “piano Mattei” per l’Africa in occasione dell’ultima edizione della conferenza annuale Rome Med 2022 organizzata da Farnesina e Ispi. Cioè un rilancio dell’approccio strategico collaborativo tra Europa e Africa, di cui l’Italia dovrebbe essere il Paese guida. Non solo per la gestione coordinata dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo e per la lotta al terrorismo, ma anche appunto in chiave economica per avviare e rafforzare stabili partenariati secondo, parole della premier, «un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane».

L’export italiano in Africa, secondo Sace
Sulle prospettive intanto nel breve-medio periodo, una fotografia dello scenario in Africa per l’export italiano e del Nord-Est la fa Valentina Cariani, Responsabile Analisi Paesi e Settori di Sace, la società di stato italiana specializzata nei servizi assicurativi e finanziari a sostegno dell’export e dell’internazionalizzazione delle imprese, intervistata da Nordest Economia in seguito all’Africa Business Day di Sace del 24 novembre.
Quali sono i numeri dell’export italiano in Africa nell’attuale congiuntura economica internazionale?
«È in corso un rallentamento generale ma le situazioni sono molto eterogenee: alcuni mercati nazionali più consolidati stanno rallentando, mentre altri mercati con volumi minori stanno crescendo. Per avere un quadro complessivo, nel 2021 l’Italia ha esportato nel continente africano merci e servizi per un valore di 18 miliardi di euro, di cui circa 12 miliardi in Nordafrica (Egitto 3,8 miliardi, Tunisia 2,9, Marocco 2,2, Algeria 1,8, Libia 1,1) e 6 miliardi nell’Africa subsahariana, dove i principali mercati sono la Repubblica Sudafricana (2,3 miliardi), la Nigeria (1 miliardo), Senegal e Angola (0,3 miliardi), Ghana e Kenya (0,2 miliardi)».

Quali mercati africani Sace vede più dinamici?
«Tra i Paesi dove le aziende italiane si stanno muovendo di più alla ricerca di nuovi mercati in cui diversificare gli sbocchi segnaliamo la Costa d’Avorio, il Senegal e la Tanzania. Tutti Paesi in contro tendenza positiva, dove le nostre aziende hanno volumi di export e conoscenze minori ma numeri e interesse stanno crescendo. Tant’è che registriamo un aumento sia delle richieste di informazioni e di coperture assicurative sia del numero di missioni business in loco organizzate dalla nostra diplomazia commerciale».
Tutti Paesi dell’Africa subsahariana…
«Occorre infatti guardare molto all’Africa subsahariana per intercettare un grande potenziale di opportunità nei prossimi anni, oltre l’attuale congiuntura, viste le prospettive di sviluppo della demografia e della domanda di questi enormi territori. Se guardiamo ad oggi, l’export italiano in Africa subsahariana è salito dai 5 miliardi del 2020 ai 6,1 miliardi del 2021 (+21%) e si prevede che crescerà del 5,6% nel 2022 (nel primo semestre ha totalizzato 3,1 miliardi). Mentre per il 2023 si attende un rallentamento (+1,6%) per effetto congiunto di diversi fattori: l’impatto della guerra in Ucraina; l’incremento dei costi delle materie prime; l’indebitamento accresciuto (a partire da quello con la Cina) per molti Stati africani, come per esempio il Kenya e il Ghana, con le relative difficoltà di finanza pubblica e di accesso ai mercati finanziari internazionali; la stretta monetaria della Fed che sta drenando capitali dai mercati considerati più rischiosi e dove quindi gli investitori sono più cauti».

E di questo risente anche l’export italiano?
«Sì, perché molti Paesi africani negli anni scorsi si erano lanciati in programmi di investimento molto ragionati e strutturati per dotarsi di infrastrutture urbanistiche, sanitarie, logistiche ed energetiche, ma adesso stanno operando una stretta sui loro piani perché non hanno le risorse finanziarie per sostenerli appieno. Quindi nel breve-medio periodo ci sarà un rallentamento della domanda di beni intermedi strumentali, come quelli della meccanica, che vengono utilizzati in questi progetti e che rappresentano una voce molto rilevante dell’export delle nostre imprese. In generale il settore delle costruzioni in Africa è quello che sta scontando le maggiori difficoltà, perché pesa molto l’aumento anche a tre cifre del costo di materiali come l’acciaio e il cemento. Così molti governi devono razionalizzare le risorse, con ripercussioni sui piani di edilizia sociale e di infrastrutture ferroviarie, stradali ed energetiche. In Ghana, per esempio, la situazione attuale impone al Paese una razionalizzazione dei progetti supportati dalla finanza pubblica».
Come va l’export del Nord-Est italiano in Africa?
«Secondo dati Istat, le quattro regioni del Nord-Est italiano (compresa l’Emilia-Romagna) fanno circa un terzo dell’export nazionale sia nell’intero continente sia nell’Africa subsahariana. In particolare, il valore delle esportazioni delle tre regioni del Triveneto nei Paesi subsahariani è cresciuto dagli 800 milioni di euro del 2020 ai 970 milioni del 2021, e nei primi 6 mesi di quest’anno ha superato i 520 milioni».

Che cosa esporta principalmente il Nord-Est in Africa?
«Soprattutto meccanica strumentale, sostanzialmente macchine e impianti che spaziano dalle applicazioni industriali e agricole in piccole aziende fino ai grandi macchinari per progetti infrastrutturali di lunga durata, soprattutto ambiti trasporti, logistica ed energia. Purtroppo l’export legato alle infrastrutture sta soffrendo di più per la ristrutturazione in corso dei piani di investimenti pubblici di molti governi africani. Mentre va meglio quello agritech e foodtech, visto che molti Paesi puntano a sviluppare la meccanizzazione agricola e a dotarsi di una propria filiera industriale agroalimentare».
E il Sudafrica prima destinazione dell’export italiano a sud del Sahara?
«Il mercato della Repubblica Sudafrica è storicamente rilevante per l’Italia con oltre 2 miliardi di euro. Non solo per la meccanica strumentale ma anche, vista la presenza di un ceto medio più ampio rispetto alla media africana, per beni di consumo alimentari, arredo-casa, tessile-abbigliamento e accessori moda. Come per esempio la nicchia dell’oreficeria: +82% export italiano di settore nel 2021 rispetto al 2020 con oltre 300 milioni di euro di vendite (il Sudafrica è tra le prime cinque destinazioni dell’export del distretto vicentino, dati Istat-Confindustria Moda-Federorafi), anche se ci si attende un rallentamento a causa dell’effetto del conflitto russo-ucraino sul prezzo dell’oro. Quello sudafricano è però complessivamente un mercato discontinuo, in difficoltà da alcuni anni, dove quest’anno proseguirà la dinamica positiva avviata l’anno scorso (+49,3% nel 2021 e +9,7% nel 2022) ma per il 2023 si prevede una contrazione (-1,9%)».
Quali sono le prospettive dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA)?
«Al progetto del mercato unico africano aderiscono 54 dei 55 Stati africani, unica eccezione l’Eritrea. Il principale canale di stimolo al commercio intra-africano sarà l'abbattimento delle misure non tariffarie, come evidenziato dalla World Bank. E quindi lo snellimento delle procedure doganali, l’integrazione dei sistemi di pagamento, l’informatizzazione dei processi logistici, il meccanismo di reporting delle barriere non tariffarie a beneficio principalmente del settore manifatturiero africano. Il commercio intracontinentale rappresenta meno del 20% delle esportazioni africane e l'AfCFTA ha l'obiettivo di raddoppiarlo entro il 2035. Le stime sulle opportunità per il nostro export e gli investimenti nell’area sono molto positive. Ma ci vorranno parecchi anni ancora. L'ostacolo principale, oltre che politico, è di tipo logistico perché i collegamenti infrastrutturali tra i territori dei diversi Stati sono ancora molto deboli, sia per traffico merci che passeggeri, e i problemi che si stanno manifestando sulla sostenibilità finanziaria dei progetti non aiutano il processo».

Qual è l’impegno di Sace in Africa a supporto delle imprese italiane?
«Il Piano Industriale 2023-2025 “Insieme 2025” di Sace prevede, globalmente a livello mondiale, 111 miliardi di euro di investimenti sostenuti, progetti supportati e liquidità garantita entro fine 2025, puntando a servire 65mila PMI. Concetto base è l’accompagnamento delle aziende: non interveniamo più pertanto solo nell'ultimo tratto, cioè la copertura del rischio, ma per supportare le aziende in ottica Sistema Paese nei singoli mercati internazionali. In Africa, dove abbiamo tre sedi (Egitto, Kenya, Sudafrica), lavoreremo nei vari mercati in sinergia con le reti della diplomazia commerciale italiana (Ambasciate, Ice, Camere di Commercio) con iniziative di business matching tra imprese italiane e imprese e governi africani che stanno cercando partnership e fornitori di beni, tecnologie e know-how per la modernizzazione e lo sviluppo locale. Obiettivo non solo l’apertura e lo sviluppo di nuovi mercati per le nostre aziende, ma anche l’individuazione di partner africani per l’approvvigionamento energetico e di materie prime».
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