È l’Uzbekistan la via per l’Oriente alternativa a quella della seta
Giorgio Veronesi: è un paese dinamico e in forte crescita. Opportunità per grandi e piccole imprese del Nordest

Dall’inviato a Samarcanda
«Il Protocollo sulla Via della Seta non ha sostanzialmente portato a nulla. L’Uzbekistan e il Centro Asia, sia per motivi demografici che per ricchezza di risorse minerali, nell’immediato futuro giocheranno invece un ruolo chiave per sganciare l’Italia e l’Europa dalla dipendenza dalla Cina, soprattutto in un’ottica di transizione energetica». Ne è convinto Giorgio Veronesi, laureato in ingegneria all’università di Padova con una carriera in Techint e oggi presidente della Camera di commercio Italia-Uzbekistan, per il quale quest’area del mondo, soprattutto in una fase di grande instabilità geopolitica, diventerà sempre di più lo snodo nella definizione degli equilibri geopolitici globali. Prova ne sono la visita di ieri a Samarcanda di Emmanuel Macron e quella della settimana prossima di Sergio Mattarella. Entrambi con l’obiettivo di porre le basi per una reale indipendenza energetica dei due Paesi.
Perché l’Uzbekistan sta assumendo sempre più il ruolo di pivot del Centro Asia?
«Partiamo dai numeri. E’ un Paese estremamente giovane: oggi ci sono 35 milioni di abitanti e le previsioni dicono che al 2030 saranno 50 milioni. L’economia è in crescita: nel 2020 l’Uzbekistan è stata tra le poche geografie al mondo a espandersi e le stime indicano una crescita per il 2023 del 5,3%. Politicamente è stabile: è una repubblica presidenziale con un presidente che ha avviato riforme sia in campo economico che dei diritti civili».
Ma un elemento chiave è la sua ricchezza mineraria.
«L’economia, i cui principali attori economici sono grandi gruppi industriali in larga parte partecipati dallo Stato, è fortemente estrattiva: l’80% della produzione è generata dal settore minerario. Il Paese è il secondo produttore dell’area ex-Urss di oro (8° al mondo) e uranio (5° al mondo) e il terzo per gas naturale e rame. La transizione energetica passerà di qui non sono per nichel e cadmio, ma in generale per rame e acciaio. Il problema è che i cinesi si sono già mossi. Dopo essersi presi le miniere in Africa, adesso sono arrivati anche qui con finanziamenti: propongono joint venture e acquisiscono la disponibilità dei metalli».

Quali sono le opportunità per le imprese del Nordest?
«Il primo incontro post pandemia, nel giugno 2021, l’abbiamo fatto proprio a Venezia con Confindustria. Il governo sta tentando la strada della diversificazione, come dimostra la ricerca sempre maggiore di macchinari, prodotti e partner italiani. Ad esempio nell’agricoltura c’è necessità di tecnologie per non disperdere l’acqua dopo che il sistema sovietico ha lasciato infrastrutture ormai obsolete. Il settore del gas poi porta progetti da miliardi di euro e le imprese del Nordest hanno tecnologie, apparecchiature ed esperienza per partecipare».
Ci sono già imprese che lavorano in Uzbekistan?
«Il gruppo Danieli ad esempio ha realizzato il più grande progetto di investimento nell'industria metallurgica dell'Uzbekistan, si tratta di un impianto industriale presso il complesso metallurgico di Bekabad ai confini con il Tagikistan e destinato alla produzione di acciai laminati a caldo. Ma non ci sono opportunità solo per i grandi gruppi industriali, anche per le piccole e medie imprese particolarmente presenti a Nordest».
In quali settori in particolare?
«Esiste una percentuale, per la verità ancora piccola, di persone ricche che iniziano a volere vestiti di moda, case realizzate da importanti architetti. Una fascia che può essere interessante per il settore dell’arredamento Made in Italy di fascia alta».
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