Dopo la crisi, la resa dei conti per Electrolux e Whirlpool

Ad aprile scade il piano del colosso svedese degli elettrodomestici, lunedì 27 a Mestre il punto con i sindacati a due anni dall'avvio del piano di ristrutturazione. L'Italia avrà ancora un futuro nell'industria del bianco?

Ultimo giro di centrifuga per l'elettrodomestico italiano, il secondo comparto industriale del paese, dietro solo all’automobile per valore e importanza della filiera. Nei prossimi mesi usciranno dalla “lavatrice” delle ristrutturazioni le due vicende aziendali che, dal 2014 a oggi, hanno tenuto col fiato sospeso migliaia di lavoratori: la crisi dell'Electrolux, 4 impianti in Italia, 5.700 dipendenti, con Porcia e Susegana come cuori pulsanti della manifattura del Nordest, e il processo d’integrazione (che sarà completato nel 2018) Whirlpool - Indesit, 6 stabilimenti per seimila addetti.


In un paese che ha fame di impresa e di investimenti, dopo aver perso il 25% della capacità produttiva negli ultimi 10 anni, l’esito del riassetto del “bianco” diventa cruciale per capire se la Penisola potrà mantenere un ruolo industriale di primo piano. Non si tornerà agli antichi fasti, questo va detto. Quindici anni fa gli stabilimenti dell’elettrodomestico, che erano una ventina, sfornavano più di 30 milioni di pezzi l’anno, oggi siamo a quota 11-12 milioni, per 15 miliardi di giro d’affari. Negli ormai mitologici anni ottanta, Vittorio Merloni occupava la poltrona di presidente di Confindustria e di lì a qualche anno avrebbe acquisito la Indesit; il brand Zanussi, nato a Pordenone nel 1916, vendeva in tutto il mondo e campeggiava sulle magliette del Real Madrid come sponsor ufficiale. Nel 2017 la grandeur italiana del bianco è decisamente ridimensionata rispetto a quell’epoca, fatta a pezzi dalla dura legge della globalizzazione, ma tutt'altro che destinata a sparire, anche se a bordo di insegne straniere e alimentata dall’automazione industriale più che dalle braccia delle tute blu.
Ad aprile scade il piano triennale firmato da Electrolux (l’ex Zanussi) con Stato e Regioni per evitare la delocalizzazione degli impianti in Polonia, che nella primavera del 2014 sembrava l’unica via di uscita per far tornare i conti all'azienda svedese alle prese con margini in picchiata e un andamento anemico dei ricavi. La crisi del comparto è tutt’altro che finita. E gli osservatori sono convinti che ci troviamo ancora all'alba di grandi processi di ristrutturazione e di fusioni, come del resto testimonia la recente partnership di Candy con la cinese Meiling. L'Italia del “bianco” sembra però riemergere dal periodo più buio.


Whirlpool, dopo l'acquisito Indesit, ha scelto la Penisola come capitale europea dell'elettrodomestico per la sua sede direzionale e per la produzione manifatturiera. Electrolux ha investito 150 milioni di euro per rendere più produttivi e competitivi gli impianti italiani, e come ha ricordato il ceo Jonas Samuelson all'assemblea generale della multinazionale, in futuro «non ci saranno più delocalizzazioni produttive», bensì più automazione nelle linee industriali. Il 6 aprile, negli uffici del Mise a Roma, azienda, governo e sindacati faranno il punto della situazione nel nostro Paese. Il piano di ristrutturazione concordato tre anni fa ha messo in campo la decontribuzione dei contratti di solidarietà, la riduzione delle pause e incentivi alla mobilità.

In cambio l'azienda ha investito spostando la produzione verso l'alto di gamma. Il risultato è che oggi, soprattutto gli impianti del Nordest, sono diventati - quasi tutti, tranne la fabbrica di Solaro - asset competitivi nell'impero della multinazionale svedese.
L'anno scorso Electrolux ha fallito la scalata americana, l'operazione di acquisizione di Ge Appliances che avrebbe permesso di dominare il ricco mercato a stelle e strisce. Il gigante Usa dell'elettrodomestico, invece, è finito in mano ai cinesi di Haier. «Paradossalmente la mancata acquisizione per noi è stata un bene», dice a denti stretti qualche rappresentante delle Rsu di Porcia, il polo delle lavatrici di alta gamma di Electrolux. Nel sito pordenonese è rimasto il centro ricerche, e nello stabilimento friulano vengono realizzati quei prodotti, sia consumer che professional, destinati al mercato Usa. La produzione nell'impianto pordenonese ha sfondato il milione di pezzi l'anno, oltre le più rosee aspettative previste dal piano industriale, circa centomila pezzi in più. E nel 2016, nonostante la battuta di arresto su Ge, Electrolux ha ritrovato l'utile in bilancio.

Non mancano però i problemi. Per la fabbrica friulana si contano comunque 417 esuberi. Un terzo di questi ha trovato una collocazione all'interno dell'azienda, nella logistica e in magazzino, o ha accettato gli incentivi per la mobilità. Tuttavia, il progetto di reindustrializzazione di parte del sito produttivo e l'ipotesi di affitto a imprenditori locali per scongiurare un centinaio di esuberi è rimasto nel cassetto. E preoccupa non poco i sindacati. Dice Giovanni Piccinin della Fim Cisl di Pordenone: «Oggi (27 marzo ndr) ci incontreremo a Mestre con i vertici dell’azienda per fare il punto della situazione. Affronteremo la questione dei contratti di solidarietà. Ci rimane a disposizione solo un anno, poi non sarà più possibile applicarli ulteriormente, come prevede il Jobs Act. L’azienda ha bisogno di grande flessibilità produttiva, abbiamo picchi estivi in cui ricorriamo agli straordinari, in questi mesi invece l'orario si riduce a sei ore». Intanto emerge l'ipotesi di estendere di un altro anno la decontribuzione dei contratti di solidarietà, almeno fino a 2018, termine ultimo per la loro applicazione. Ma la situazione andrà letta stabilimento per stabilimento.


Anche a Susegana, il polo del freddo trevigiano, la situazione volge al sereno con 810 mila pezzi prodotti l'anno. Negli scorsi mesi, per far fronte all’aumento degli ordini, sono arrivati lavoratori dagli impianti di Solaro. E ora sono ripartite le assunzioni, per una ventina di tecnici manutentori. Un risultato del tutto inatteso visto che tre anni fa si parlava di migliaia di esuberi.
A Forlì, piani cottura, la crisi è alle spalle e non si parla più di ammortizzatori sociali. La fabbrica di Solaro, invece, lavastoviglie alto di gamma, è ancora in crisi nera con una produzione inferiore al 30% rispetto alle previsioni. E se il mercato continuerà a mettersi di traverso, l'impianto lombardo rischia di finire nel freezer.

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