Bono (Fincantieri): «Patto federativo fra gli industriali del Nordest per riaccendere i motori dell’Azienda Italia»

E' la proposta lanciata da Bono, presidente della Confindustria regionale e amministratore delegato di Fincantieri, il colosso della cantieristica triestino, che qui analizza i temi cruciali dell’economia (dalla Brexit al rallentamento della crescita)

«Un patto federativo fra gli industriali del Nordest per fare ripartire il manifatturiero, la spina dorsale dell’economia italiana»: è la proposta lanciata da Giuseppe Bono, presidente della Confindustria regionale e amministratore delegato di Fincantieri, il colosso della cantieristica triestino, che qui analizza i temi cruciali dell’economia (dalla Brexit al rallentamento della crescita).Intanto il dossier sull’acquisizione dei cantieri di Saint Nazaire da parte di Fincantieri è sotto esame da parte dell’Antitrust europeo. Bono avverte: «Stiamo lavorando per creare un campione europeo della cantieristica civile e militare».

Giuseppe Bono, pensa che Confindustria vada inevitabilmente verso una struttura unica su scala regionale?

Quando nel 2012 assunsi la presidenza di Confindustria Gorizia, fissai come obiettivo prioritario del mio mandato la semplificazione del sistema confindustriale regionale. L’esperienza ci insegna che bisogna procedere per fasi, così abbiamo prima aggregato la Venezia Giulia con Pordenone, per poi allargare l’intesa a Udine, nel rispetto delle volontà di ognuno. Si tratta di una grande opportunità perché in una fase storica ed economica caratterizzata da una crescente complessità il ruolo dei corpi intermedi diviene più importante, purché essi sappiano adattarsi al mutato contesto operativo.

Gli industriali hanno ancora un ruolo di rappresentanza nel Paese?

Certamente, debbono stringere un’alleanza per far ripartire il manifatturiero, vera spina dorsale dell’economia italiana. Tuttavia c’è anche un aspetto dimensionale: questa regione da sola non basta e può essere un laboratorio per arrivare a un patto federativo che coinvolga tutte le associazioni del Nordest: Veneto, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige. Solo così potremo incidere significativamente sulle scelte di politica industriale del Paese.

Pensa che il sogno europeo sia tramontato? Quale deve essere il ruolo dell’Italia in Europa?

Come può tramontare un fenomeno che ha portato oltre settant’anni di pace e che si è tradotto nell’adozione della moneta unica e che assicura maggiore stabilità? Senza l’euro le nostre imprese potrebbero firmare contratti a 5/6 anni? Chi si avventurerebbe in un mutuo a vent’anni per l’acquisto della propria abitazione? Ciò però non significa che tutto debba rimanere immutato, perché i trattati istitutivi sono vanno rivisti e adattati al nuovo contesto. Pensiamo alla tutela della concorrenza: ormai è anacronistico tra imprese dei Paesi membri. Occorre una regolamentazione per permettere alle aziende europee di competere con i colossi statunitensi, cinesi, indiani. L’Italia, tra i Paesi fondatori dell’Europa, deve far sentire forte la sua voce, soprattutto ora che con la Brexit rischiamo di perdere una componente importantissima dell’Unione.

Fincantieri ha una grande esperienza nel mercato Usa. Cosa pensa della politica dei dazi di Trump? Rischia di avere ripercussioni anche sull’export del Friuli Venezia Giulia?

Di certo stiamo vivendo una fase economica caratterizzata da una recrudescenza del protezionismo, ma oltre agli Stati Uniti altri Paesi stanno intraprendendo questa strada, interrompendo un lungo periodo di libero scambio che ha consentito uno sviluppo enorme delle economie occidentali. Bisogna ragionare in termini di competitività europea, altrimenti il nostro continente rischia di essere l’unica vittima della competizione economica tra America e Asia.

Di cosa hanno bisogno le nostre imprese per tornare a investire e vincere la sfida della crescita?

L’ultimo rapporto della Fondazione Nord Est ha evidenziato che siamo ancora competitivi con le più avanzate regioni europee, ma sta crescendo il ritardo nell’accumulazione di capitale umano, infrastrutturale e tecnologico. Occorre intervenire al più presto elaborando una strategia di medio-lungo periodo per la ripresa degli investimenti pubblici e privati, investendo in innovazione e formazione. Rischiano di non recuperare più il differenziale rispetto alle altre nazioni e il declino del manifatturiero porterebbe al declino sociale e culturale del Paese.

Come vede la situazione dei mercati. Pensa che ci siano concreti rischi di recessione a livello globale?

Oggi il dato certo è il rallentamento della crescita economica mondiale, si sta confermando la tendenza degli ultimi anni, tanto per la nostra regione che per il Paese. Questa condizione è determinata soprattutto dalla grande incertezza che grava su questioni di primaria importanza: le politiche protezionistiche, ma anche il mutevole contesto politico europeo con in primis l’incognita Brexit. Dall’esito di queste partite dipenderà lo scenario di domani.

In Cina Fincantieri ha avviato un importante progetto di cooperazione industriale con la costituzione di una jv assieme alla più importante corporation statale cinese. Quali le prospettive in questo mercato per l’industria italiana e per Fincantieri?

Il progetto sta proseguendo e voglio sottolineare un aspetto fondamentale, il ruolo che Fincantieri potrà avere nel favorire l’insediamento della propria catena di fornitura e di altre Pmi in un mercato che offre enormi potenzialità di crescita.

La manovra varata dal governo sarà sufficiente a portare in sicurezza i nostri conti?

Come ogni manovra penso che abbia alcuni lati positivi e altri meno, ma bisogna fare i conti con le risorse statali. Il problema vero è che non riusciamo a imboccare un percorso di crescita, non soltanto per la situazione dell’Italia, ma dell’Europa, Germania in testa, senza la quale non si può crescere. Serve una visione di sviluppo oltre i 30 anni, e chiunque governi dovrà pianificare guardando al lungo termine.

Lei ha annunciato che nei prossimi il gruppo avrà bisogno di 5-6 mila lavoratori ma di non sapere dove andarli a trovare. Perché il mercato del lavoro in Italia non riesce a soddisfare le richieste di un grande gruppo industriale come Fincantieri? È un problema di cultura del lavoro oppure di formazione dei nostri giovani?

I due temi si sovrappongono perché la cultura del lavoro coincide con la formazione. Bisogna ripartire dalle famiglie e dalle scuole per comunicare che lavorare in fabbrica non è un ripiego. Tramite il lavoro ognuno concorre allo sviluppo del Paese e al mantenimento del sistema sociale. Dobbiamo preparare i ragazzi che entreranno nel processo produttivo favorendo i percorsi di studio più adatti. Esiste poi un problema demografico: siamo il Paese che in Europa soffre di più l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità non solo deprime i consumi, ma riduce la popolazione attiva. Sono tematiche che necessitano interventi complessi e bisogna avviare una stagione di riforme per non perdere troppo terreno.

Si andrà verso un consolidamento del settore della cantieristica navale?

È inevitabile e il lavoro che stiamo portando avanti mira proprio alla creazione di un campione europeo della cantieristica civile e militare. Le eccellenze ancora presenti in Europa devono unirsi per essere più resilienti di fronte alle ciclicità dei mercati e attrezzarsi per affrontare al meglio la competizione internazionale. —

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