Autostrade inutili e ferrovie disastrate, ma il rammendo ci potrebbe salvare

Trent’anni di mancato ammodernamento infrastrutturale E ora la scoperta che la via più giusta è migliorare l’esistente

PADOVA. Trenta anni dopo, molti tasselli del mosaico – disordinatamente e casualmente – stanno andando a segno. Il mosaico in questione è il programma di ammodernamento delle infrastrutture del Nordest. Porti, aeroporti, metropolitane, interporti, autostrade, tangenziali, ferrovie ad alta velocità.
Tutto è avanzato lentissimamente lungo appunto trent’anni. E adesso che gran parte dei cantieri concepiti alla fine degli anni Ottanta tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, e lungo l’asse del Brennero, stanno arrivando a compimento, quasi non ne siamo consapevoli. Sfibrati dall’attesa, in qualche modo disillusi. Di sicuro ne abbiamo perso di vista il disegno di assieme. Se non fosse che altrove, segnatamente tra Torino e Milano, le categorie economiche e un ceto dirigente potenziale nascente hanno battuto il gong per svegliare un governo appisolato e attardato su ideologismi e marketing permanente. Così hanno risvegliato pure noi. I pochissimi che non hanno mai smesso di battersi per il superamento del ritardo infrastrutturale del Nordest si sono così ritrovati meno soli e finalmente inseriti in una questione nazionale. Perché ne va sia della competitività delle imprese, ma pure della vivibilità dei territori.
Proviamo a mettere insieme quel che è avvenuto e pure quel che è “work in progress”. Ma anche gli errori di prospettiva e i ritardi accumulati meritano di essere letti.



Una visione sinottica e simbolica la possiamo avere leggendo la vicenda degli aeroporti di Verona, Venezia-Treviso, Trieste. Al Marco Polo il piano di investimenti 2012-2021 prevedeva investimenti per oltre 900 milioni di euro, metà dei quali già realizzati o in corso di realizzazione. Una decina di anni fa, l’attuale terzo scalo intercontinentale italiano era poco più che una stazione degli autobus. L’aeroporto di Ronchi dei Legionari, nel frattempo, ha finalmente attuato il progetto di collegare l’impianto aeroportuale alla linea ferroviaria. Eureka! Bello sarebbe che pure i due aeroporti fossero connessi via binario, come avviene per tanti sistemi aeroportuali autenticamente moderni del Nord Europa. Invece la Regione del Veneto, in sintonia con la Regione Friuli Venezia Giulia, una decina di anni fa a coltivato la balzana idea di portare la Tav dentro al Marco Polo, passando sotto al laguna di Venezia e poi andando lungo la costa adriatica, dichiaratamente per servire le località balneari. Idea così demenziale che non ne abbiamo fatto niente, salvo che ci ha fatto perdere appunto una decina di anni. Appena da un anno è in fase di progettazione una bretella ferroviaria che colleghi il Marco Polo con la linea storica Mestre-Trieste. Quanto alle piste di Verona e di Treviso, nemmeno stiamo provando a far sì che siano raggiungibili in un modo diverso dall’auto privata o dal pullman più o meno puzzolente.

Il punto dolente

L’ammodernamento della armatura ferroviaria di Veneto e Friuli Venezia Giulia, che largamente risale al disegno strategico dell’impero asburgico, rimane infatti il punto dolente di tutta la questione infrastrutture. Quel che manca di capire al fantasista Danilo Toninelli, per avventura della storia oggi ministro alle Infrastrutture, è che se non provvede a rafforzare le ferrovie, toccherà aumentare i chilometri di asfalto. Basta osservare il quotidiano intasamento dell’autostrada Serenissima: tra Verona e Mestre non manca giorno da un paio d’anni che s’allunghi il bollettino degli incidenti e delle code sterminate. Perché l’economia ha ripreso a tirare e la logistica figlia di Amazon è esponenzialmente cresciuta. Tant’è che le società concessionarie del tronco Brescia-Padova (Atlantia) e del Passante di Mestre (Cav) hanno già presentato la richiesta di realizzare la quarta corsia. E possiamo giurare che un destino del tutto simile attenda anche il tratto autostradale che unisce Mestre, Udine e Trieste. Non mancherà molto a scoprire che la terza corsia in costruzione rischia di non bastare. Il segmento Portogruaro-Palmanova sarà finalmente completato entro il 2020, ma la via crucis di automobilisti e camionisti tra Padania e Tarvisio e Trieste non sarà finita. Il tragitto verso l’Est Europa – soprattutto per le merci – rimane un punto interrogativo. Se i treni ad alta velocità rimangono un miraggio, non dipende da un destino cinico e baro o dalla solita Roma ladrona: la Regione Veneto, sia sotto la guida di Giancarlo Galan che sotto la leadership di Luca Zaia, di Tav non si è mai voluta intrigare e men che meno di fare sintesi con comunità e enti locali nella individuazione dei tracciati; quanto alla Regione Friuli Venezia Giulia, solo con la presidenza di Debora Serracchiani ha deciso nel 2016 di abbandonare il chimerico progetto da 12 miliardi degli anni ‘90 e si è concentrata sulla velocizzazione della linea storica. Magari anche sulla tratta Verona-Padova qualche risparmio è possibile tenendo conto che i costi stimati al chilometro sono due o tre volte superiori a quelli sostenuti per la tratta Padova-Mestre nel 2006. Di sicuro non è accettabile che il treno ad alta velocità si fermi a Verona. E inaccettabile resta che il ministro Toninelli non dia corso nemmeno a un progetto basico ed essenziale qual è quello definito per sagomare curve e eliminare passaggi a livello sulla Mestre-Trieste.



La responsabilità

Al governo tutto assieme, nella componente pentastellata e in quella leghista, tocca la responsabilità di smetterla con attendismi e no pregiudiziali. I cantieri sono in corso sulla Superstrada pedemontana veneta (Spv) e sulla Galleria ferroviaria di base del Brennero? Vanno conclusi. Se non vogliamo che diventi indispensabile la terza corsia sulla A22, il potenziamento della ferrovia non è discutibile sulla direttrice del Brennero. Non vi è dubbio che Spv è uno splendido affare per il concessionario e un bidone per le casse pubbliche. Ma come si fa a pensare di bloccare le ruspe, dato che al 2020 l’opera sarà completata? Come si fa a non volere che siano al più presto costruite anche le bretelle di connessione alla Spv, in modo da scaricare di traffico le vetuste strade statali che transitano per i centri urbani? Che non significa affatto essere a priori a favore di nuove strade e autostrade. Occorre anzi rileggere gli errori, spesso gravissimi, di prospettiva compiuti al tempo dei project financing facili e di autostrade inutili come la Valdastico Sud che ha il record assoluto di traffico (qualche centinaio di auto al giorno). Il criterio del buon senso e delle priorità dovrebbe valere per grandi opere come Brennero e Tav, ma anche per interventi di rammendo fondamentali come la bretella tra la stazione di Padova e l’Interporto, che è il secondo per importanza in Italia e strozzato nel suo programma di crescita. Oltretutto, la bretella per l’Interporto potrebbe fungere anche da tronco di una metropolitana di superficie (metrò e tranvie urbane sono un aspetto tragicamente arretrato a Nordest).

Riscoperta

La strategia del rammendo, insomma di usare quello che esiste e di migliorarlo, è alla base per esempio anche della straordinaria fase di sviluppo che sta conoscendo il porto di Trieste: la riscoperta delle ferrovie che da sempre connettono lo scalo giuliano con i mercati del Centro Est Europa è uno dei due tasti che spiegano l’attuale boom. La seconda leva consiste naturalmente nella costruzione di nuovi moli, tanto che la piattaforma logistica oggi in cantiere ha attirato l’interesse dei massimi investitori e operatori cinesi (in particolare il gigante Cmg). Ma la strategia del rammendo dovrebbe valere per esempio anche per ripristinare il treno delle Dolomiti. Come si fa a non capire che la possibilità di raggiungere in treno Cortina sarebbe uno straordinario valore aggiunto, come avviene per tutte le località montane più blasonate in Svizzera e Austria? Il palleggio tra Regione Veneto ed enti locali bellunesi dimostra una volta di più la insipienza di chi ci governa riguardo ai modelli di trasporto.


 

Riproduzione riservata © il Nord Est