A chi spetta il rilancio del Nord Est

I report pubblicati negli ultimi mesi da alcuni Centri studi mostrano che l’economia del Veneto e del Friuli Venezia Giulia (il Nord Est) non gode di ottima salute. Pur restando una delle aree più floride d’Italia e d’Europa, cresce meno rapidamente rispetto a Lombardia ed Emilia-Romagna, nel corso degli ultimi anni ha perso molte posizioni rispetto alle grandi regioni industriali della Germania e di altri Stati europei, e nell’ultimo decennio ha “perso” un maggior numero di giovani, spesso altamente qualificati, emigrati all’estero.
Gli studiosi concordano nella diagnosi: il problema maggiore è la bassa produttività, sia nell’industria che nei servizi. In altri termini, nel Nord Est, rispetto alle regioni concorrenti, per produrre lo stesso reddito è necessario impiegare una quantità maggiore di forza lavoro e di capitale. Questo accade per tre motivi. Innanzitutto, molti servizi sono ad alta intensità di lavoro: per esempio, la produttività della raccolta dei rifiuti porta-a-porta è assai inferiore rispetto a quella con i cassonetti stradali (questo non vuol dire che il porta-a-porta debba essere abbandonato, ma è dato di fatto).
In secondo luogo, prevalgono piccole e piccolissime imprese che, pur traendo forza da flessibilità e duttilità, hanno una produttività minore rispetto a quelle di media e – specialmente – di grande dimensione.
Anche il terzo punto è collegato alla dimensione d’impresa: le piccole faticano a fare innovazione, collocandosi di conseguenza in segmenti di mercato facilmente aggredibili dalla concorrenza, nazionale e internazionale: sono così costrette e tenere prezzi bassi, e hanno sofferto di più per le crisi internazionali che hanno contratto le esportazioni. La carenza di imprese innovative e con alti margini di profitto spinge verso il basso sia gli stipendi sia le competenze richieste ai lavoratori: di conseguenza, molti giovani di talento vanno all’estero, dove sono meglio pagati e si sentono più valorizzati. Insomma, il “piccolo è bello”, che ha guidato lo straordinario sviluppo del Nord Est nell’ultimo quarto del XX secolo, si è trasformato in debolezza strutturale.
Purtroppo non si vedono molti segnali di inversione di tendenza. Il Nord Est avrebbe bisogno di grandi imprese, che diventino centri di innovazione. Sono state perse grandi occasioni: le due multinazionali dell’informatica Intel e Silicon Box hanno rinunciato a creare in Veneto due grandi siti produttivi, preferendo la Polonia e la provincia di Novara. Migliaia di potenziali posti di lavoro altamente qualificati sono così andati in fumo.
È sbagliato raffigurare il Nord Est come un sistema economico in crisi irreversibile. Alcuni settori sono di assoluta eccellenza mondiale, alcune grandi imprese ci sono e continuano a svilupparsi. Tuttavia, è sbagliato raffigurarlo come un sistema in grado di crescere in modo – per così dire – automatico. C’è bisogno di una politica forte, fatta di scelte lungimiranti: su scuole, università, infrastrutture, finanza, lotta al dissesto idrogeologico...
Non è più sufficiente “lasciar fare” alle imprese. Per evitare uno “splendido declino”, la classe dirigente del Nord Est deve essere in grado di orientare i processi economici, non solo di concepire strategie di adattamento.
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