Endometriosi, la ginecologa: «Ora la malattia si conosce. Ma serve un cambio culturale»

Di endometriosi soffre una donna su quattro in età fertile. Alessandra Andrisani, direttrice dell’Unità di Pma dell’Azienda Ospedale Università di Padova: «Capita che le donne non siano prese sul serio. Ma grazie ai social c’è più consapevolezza»

Maria Ducoli
Alessandra Andrisani, direttrice dell’Unità di Procreazione medica assistita dell’Azienda Ospedale Università di Padova
Alessandra Andrisani, direttrice dell’Unità di Procreazione medica assistita dell’Azienda Ospedale Università di Padova

Hai una soglia del dolore troppo bassa. Dovrai farci l’abitudine. Sei esagerata, drammatica, pazza. Ancora oggi, nel 2025 dell’AI, del progresso e del “tutto è possibile”, le donne spesso si sentono ancora dire cose simili davanti ai dolori mestruali. In famiglia, a volte anche in uno studio medico, perfino in ospedale.

Come se il dolore fosse qualcosa di ordinario che spetta loro, una condizione naturale, un peccato da espiare mese dopo mese.

Per Alessandra Andrisani, direttrice dell’Unità di Procreazione medica assistita dell’Azienda Ospedale Università di Padova, oggi la sanità ha fatto non pochi passi in avanti rispetto alla diagnosi e al trattamento dell’endometriosi. Eppure tanti ancora se ne devono fare. Anche e soprattutto a livello culturale.

Cos’è l’endometriosi e qual è la sua incidenza?

«Si tratta di una malattia subdola e invalidante che consiste nella crescita di un tessuto simile al rivestimento interno dell’utero, che si chiama endometrio, anche al di fuori di quest’ultimo. Non ha sempre dei sintomi chiari e si può manifestare in maniera diversa. Le sue caratteristiche tipiche sono dolore e infertilità, ma non è detto che ogni paziente le abbia entrambe. L’endometriosi è molto frequente: affligge una donna su quattro in età fertile».

La diagnosi è spesso difficile: quanto questo risente della reticenza ad ascoltare le donne e a considerare valido il loro dolore?

 

«Sicuramente sembra che noi donne ci lamentiamo per tutto, perciò non sempre veniamo prese sul serio. Vedo pazienti in un costante peregrinare tra un medico e l’altro, a molte viene detto di andare dallo psicologo come se il loro dolore non fosse reale. Oggi qualche passo avanti è stato fatto, sono molti anni che si parla di endometriosi. Ma ci sono ancora patologie femminili meno conosciute, come la vulvodinia, e chi ne è affetta fatica a ottenere il supporto di cui ha bisogno».

 

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Di quanto è oggi il ritardo diagnostico per l’endometriosi?
«La letteratura internazionale lo stima a circa otto anni, ma credo che in Italia e nel Veneto sia inferiore perché negli anni l’attenzione è cresciuta e non possiamo parlare di ritardi così importanti. Ci sono Paesi come l’America dove, invece, è ancora alto perché le donne stesse sono più reticenti a vedere gli specialisti a causa del costo delle cure».

Di endometriosi se ne parla di più anche sui social: questo ha contribuito a rendere le donne più consapevoli?

«Assolutamente: conoscono di più la patologia e spesso quando arrivano in ambulatorio sono loro stesse a chiederci se hanno l’endometriosi».

La sanità pubblica ha le forze per trattare questa malattia cronica?

«Ormai tutti gli ospedali hanno degli ambulatori appositi, inseriti in una rete regionale che vede come centro di riferimento l’ Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Per un periodo il Ministero aveva messo a punto un tavolo tecnico per la prevenzione e cura dell’infertilità e, in quell’occasione, ero stata coinvolta per dire come avrebbe dovuto essere strutturato un centro per l’endometriosi. Servono ginecologi che sappiano usare l’ecografo 3d, altri con competenze chirurgiche, uno specialista in infertilità, un radiologo che si occupa di endometriosi e uno psicologo».

Questo impianto c’è nei nostri ospedali?

«No, sarebbe l’ideale ma non è così. Però la rete di specialisti c’è, perciò anche se non sono nel mio stesso ambulatorio, posso indirizzare le pazienti a loro».

Tra i medici necessari ha citato anche gli psicologi. Come mai?
«Perché sapere di avere una patologia cronica, soprattutto tra i 20 e i 30 anni, età di insorgenza dell’endometriosi, non è facile da accettare. Come non lo è nemmeno alzarsi la mattina e sapere che si starà male, voler avere dei rapporti con il proprio partner e sapere che si avranno forti dolori o aspettare il ciclo mestruale come se fosse un film dell’orrore. Queste donne sono maggiormente a rischio depressione».

Una volta ottenuta la diagnosi, come si tratta l’endometriosi?

«Oggi ci sono buoni trattamenti farmacologici a base di progesterone. Si ricorre alla chirurgia solo se non si può fare altrimenti. Ma se la donna cerca una gravidanza, allora viene prima questa perché dopo l’intervento aumenta la possibilità di infertilità. In questo senso, il Veneto è l’unica regione in Italia che consente a chi soffre di endometriosi di effettuare la conservazione degli ovociti all’interno del Sistema sanitario nazionale».

Diceva che spesso il dolore delle donne viene minimizzato e non ascoltato. A che punto siamo con la medicina di genere?

«Un discorso complesso, se ne parla tantissimo ma c’è ancora molta strada da fare. Credo che, in generale, l’attenzione ci sia sempre stata, a mancare erano le capacità. Oggi l’avanzamento tecnologico in ginecologia e l’abitudine a collaborare tra professionalità ci ha permesso di fare passi in avanti».

L’endometriosi, ma più in generale la salute della donna, sono anche degli argomenti portati al centro di battaglie e rivendicazioni. Quanto questo ha influito nel portare al riconoscimento anche legislativo della patologia, che oggi ha anche un codice di esenzione?

«Moltissimo. Tutti ci vogliono bene, ma poi quando stiamo a casa perché non stiamo bene diamo fastidio. I riconoscimenti sono arrivati grazie alle lotte delle pazienti e delle associazioni che le riuniscono, il cui ruolo è fondamentale, sono un grande forza. Il sistema, chi ci coordina e i nostri amministratori hanno dovuto ascoltare la voce delle donne».


 

La scheda

Endometriosi, la malattia invisibile che colpisce una donna su dieci

L’endometriosi in Italia colpisce una donna su dieci, ma la diagnosi arriva dopo anni. Un ritardo che costa caro alla salute delle pazienti e al sistema sanitario.

Una malattia cronica e invalidante, ancora troppo poco conosciuta, che compromette profondamente la qualità di vita di chi ne è colpita.

Cos'è l’endometriosi

L’endometriosi è una patologia caratterizzata dalla presenza anomala di tessuto simile all’endometrio (quello che normalmente riveste l’utero) in altre zone del corpo, come ovaie, tube, peritoneo, intestino o vescica.

Durante il ciclo mestruale, questo tessuto risponde agli ormoni come quello uterino: sanguina, ma non potendo fuoriuscire, genera infiammazione cronica, dolore e, in alcuni casi, infertilità.

Una malattia sottovalutata, con gravi conseguenze

In Italia l’endometriosi colpisce circa 3 milioni di donne, pari al 10-15% delle donne in età fertile. Una percentuale che sale fino al 30-50% tra chi soffre di infertilità o difficoltà a concepire. Tuttavia, la diagnosi arriva con un ritardo medio di 7 anni, a causa dell’aspecificità dei sintomi, spesso minimizzati o normalizzati culturalmente.

Secondo i dati ufficiali della Regione Veneto, nel 2024 si sono registrati 2.040 ricoveri ospedalieri per endometriosi tra le donne di età compresa tra i 15 e i 50 anni. Tra il 2011 e il 2024, i ricoveri chirurgici effettuati per questa malattia sono stati 32.268, a cui si aggiungono 1.317 ricoveri di tipo medico.

In Friuli Venezia Giulia, tra il 2004 e il 2017, sono stati registrati oltre 4.100 casi confermati di endometriosi tra le donne tra i 15 e i 50 anni, con un’incidenza stimata di 111 casi ogni 100.000 donne per anno. Il picco massimo si registra tra i 31 e i 35 anni, fascia in cui il tasso sale a 160 per 100.000. I dati, raccolti secondo criteri rigorosi (visualizzazione diretta o referto istologico), rappresentano però solo la punta dell’iceberg, perché molti casi sfuggono alla diagnosi. In confronto, regioni come la Puglia e la Toscana presentano tassi simili ma leggermente inferiori. La sottostima è un tema trasversale, che conferma quanto sia urgente investire in diagnosi precoce e sensibilizzazione.

I sintomi da non ignorare

  • Dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia)
  • Disturbi intestinali e urinari (dischezia, disuria) Dolore pelvico cronico anche al di fuori del ciclo
  • Stanchezza persistente, cefalea, sintomi depressione dolore mestruale intenso (dismenorrea)
  • Infertilità (30-40% dei casi)

Una diagnosi precoce può fare la differenza

Una valutazione ginecologica approfondita è essenziale per arrivare a una diagnosi corretta. Gli esami più utilizzati sono l’ecografia pelvica, la risonanza magnetica e la laparoscopia, che consente anche l’asportazione chirurgica dei focolai.

Nel Veneto, la struttura di riferimento regionale per la patologia è l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, che ha effettuato 3.166 ricoveri per endometriosi dal 2022 al 2024.

Le cure: tra farmaci, chirurgia e supporto psicologico

Il trattamento è personalizzato e può prevedere:

  • Chirurgia laparoscopica mini-invasiva
  • Terapie ormonali (contraccettivi orali, analoghi del GnRH)
  • Antidolorifici e trattamenti di supporto
  • Sostegno psicologico per affrontare il dolore cronico e l’impatto sulla sfera affettiva e lavorativa

Esenzioni e costi sociali

Dal 2017, l’endometriosi negli stadi III (moderato) e IV (grave) è stata riconosciuta nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) come patologia cronica e invalidante. Le pazienti hanno diritto all’esenzione per alcune prestazioni specialistiche.

I costi della malattia non sono solo sanitari: in Italia si stimano circa 4 miliardi di euro annui in congedi di malattia, con una spesa farmaceutica specifica di circa 128 milioni di euro.

Più consapevolezza per meno dolore

Parlare di endometriosi è oggi più che mai un atto necessario. La Regione Veneto, con campagne informative e un sito dedicato (link), è in prima linea per promuovere la diagnosi precoce e l’accesso tempestivo alle cure. Conoscere la malattia è il primo passo per combatterla.

Argomenti:donne

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