Unabomber, parla il magistrato che riaprì il caso: «Era giusto farlo, non mi pento di nulla»

L’ex procuratore di Trieste Antonio De Nicolo: «Lo imponevano la gravità dei fatti e le vittime. La prescrizione ora chiude la porta, ma rifarei tutto»

Antonio De Nicolo
Antonio De Nicolo, ex Procuratore della Repubblica di Trieste (Foto Lasorte)
Antonio De Nicolo, ex Procuratore della Repubblica di Trieste (Foto Lasorte)

Ci sono iniziative giudiziarie che debbono venire assunte, anche qualora sia possibile immaginare la possibilità che non si concludano con esito positivo.

La riapertura dell’indagine preliminare su Unabomber fa parte di questa categoria. Più ragioni ne imponevano la riapertura: l’assoluta gravità dei fatti, cui va riconosciuta l’aggravante della finalità di terrorismo; la circostanza che nel momento in cui fu aperta non incombeva la prescrizione su quasi tutti gli episodi; il fatto che una specifica richiesta in tal senso fosse stata presentata da due delle vittime di quelle vicende atroci. Mi consultai con l’allora mio collega Federico Frezza, che era stato l’ultimo assegnatario del fascicolo e che presta tuttora servizio alla Procura di Trieste: lo coassegnai ad entrambi e prendemmo all’unisono la decisione di riaprire l’indagine.

Ci era chiaro che l’approfondimento necessario avrebbe riguardato soltanto le indagini genetiche, rese praticabili da tecnologie e da approdi scientifici non disponibili all’epoca delle prime investigazioni: sapevamo che a suo tempo era già stato fatto tutto il possibile nell’ambito dell’armamentario investigativo consueto: perquisizioni, sequestri, intercettazioni, esami testimoniali, interrogatori. Mancava soltanto l’esplorazione della possibilità di condurre nuovi accertamenti sulla base delle acquisizioni scientifiche nel frattempo sopravvenute.

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I risultati dell’ultima indagine, che si era focalizzata su un solo indagato ed era stata archiviata, erano divenuti irrecuperabili per l’avvenuta alterazione di un reperto ad opera di un appartenente alla polizia giudiziaria: alterazione ormai accertata con sentenza di colpevolezza passata in giudicato. Dunque la nuova inchiesta non poteva che concentrarsi sugli aspetti medico-legali, nella ragionevole aspettativa che i sicuri progressi scientifici avvenuti nell’ultimo quindicennio avrebbero potuto consentire di far luce sull’autore o sugli autori di quegli orribili delitti.

È stato giusto profondere energie e spendere soldi dello Stato in questo modo?

Rispondo senza esitazione di sì, aggiungendo tre punti esclamativi. Lo imponevano la gravità oggettiva dei fatti e la concreta procedibilità per alcuni episodi al momento in cui l’indagine fu riaperta.

Ora, fermo restando che non ho letto le conclusioni peritali e che dunque non so se vi siano margini per ulteriori approfondimenti, mi è comunque difficile prevedere se vi sarà un futuro per questa indagine.

La prescrizione incombe: nessun episodio ha avuto, grazie a Dio, conseguenze mortali, sicché viene in considerazione il solo delitto di lesioni volontarie. Tale delitto, pur se aggravato dalla finalità di terrorismo e pur se le lesioni cagionate siano state gravi o gravissime, ha comunque un termine di prescrizione, il quale ormai è decorso per tutti gli episodi tranne l’ultimo. Fra l’altro, anche qualora si potesse individuare la persona colpevole di tale ultima vicenda non ancora prescritta, ciò non potrebbe far ascrivere automaticamente a quella persona anche la responsabilità dei delitti precedenti attualmente prescritti.

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Il fatto che la macchina della giustizia penale debba ad un certo punto arrestarsi discende dall’ovvia esigenza di non tenere indefinitamente aperte iniziative giudiziarie se non per i reati più gravi, e cioè quelli puniti con la pena (imprescrittibile) dell’ergastolo. Dunque, avendo prestato servizio per 43 anni come magistrato, impegnato in periodi diversi in funzioni requirenti o giudicanti, ho visto molte volte, spesso con amarezza, calare la scure della prescrizione su varie vicende giudiziarie.

In questo caso, avverto il dispiacere di constatare che la porta che avevo aperto, e che ha avviato una strada percorsa da bravissimi periti, parrebbe destinata a concludersi con un nulla di fatto. Ma non mi pento di avere aperto quella porta.

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