Sì, c’è stata premeditazione: ergastolo per Turetta

Caso Giulia Cecchettin. Riconosciuta anche l’aggravante del vincolo affettivo, rigettate invece dalla corte d’Assise di Venzia la crudeltà e lo stalking

Laura Berlinghieri

Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo. Al termine di una camera di consiglio durata oltre sei ore, è questo il verdetto pronunciato da Stefano Manduzio, presidente della Corte d'assise di Venezia, nei confronti del 22enne padovano accusato dell'omicidio dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin.

La Corte ha ritenuto prevalente, quindi, la presenza delle circostanze aggravanti individuate dal pubblico ministero Andrea Petroni. Presenti in aula, alla lettura della sentenza, il papà Gino Cecchettin, gli zii Andrea Camerotto e Alessio Cecchettin, la nonna Carla Gatto. E Filippo Turetta: felpa grigia, jeans, ha assistito alla lettura della sentenza in silenzio, senza proferire parola. Sono state riconosciute le aggravanti della premeditazione e del vincolo affettivo. No allo stalking e alla crudeltà.

La reazione del papà di Giulia

"La mia sensazione è che abbiamo perso tutti come società. Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani. È una sensazione strana, pensavo di rimanere impassibile". Lo ha detto ai giornalisti Gino Cecchettin, dopo la lettura della sentenza nei confronti di Filippo Turetta. "È stata fatta giustizia - ha aggiunto - la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani. La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, con concetti forse un po' troppo lontani. Come essere umano mi sento sconfitto".

E ancora: "La giuria sì è pronunciata, ha comminato una pena, non entro nel merito, la rispetto, ma la battaglia contro la violenza continua, è una battaglia che dovremo fare come società. Bisognerà capire cos'è crudeltà e cosa stalking, ci sarà da dibattere. Domani si riparte coi messaggi di sempre, mi dedicherò alla Fondazione e continueremo nel nostro percorso con il comitato scientifico, cercando di salvare vite".

Cecchettin ha poi aggiunto che "prima ero impassibile, perché avrei accettato qualsiasi verdetto, ma nel momento in cui è arrivato, l'essere qui tutti, significa aver perso una battaglia. Andrò avanti con il mio percorso, oggi era una tappa dovuta per rispettare le leggi che ci siamo dati come società civile. È una sentenza, giustizia posso dire che è stata fatta secondo le leggi vigenti. Il percorso sì fa su altri campi".

E la nonna "Non ci si può certo dire soddisfatti di una sentenza, noi abbiamo il nostro dolore e ce lo portiamo, fino alla tomba". Lo ha detto la nonna di Giulia Cecchettin, Carla Gatto, all'esterno del tribunale di Venezia. "Non si prova più niente", ha aggiunto. 

Le frasi di Giulia citate al processo

Giulia Cecchettin
Giulia Cecchettin

«Abbiamo litigato per il fatto che non lo avessi fatto venire al compleanno della Elena».
«Ha sostenuto più volte fosse mio dovere aiutarlo a studiare».
«Si lamentava quando mettevo meno cuori del solito».
«Necessitava di messaggi molte volte al giorno».
«Ha idee strane riguardo al farsi giustizia da soli per i tradimenti, alla tortura, robe così».
«Quando lui ha voglia tu non puoi non averne se no diventa insistente».
«Non accetta le mie uscite con la Bea e la Kiki».
«Non accetterebbe mai una vacanza mia in solitaria con maschi nel gruppo».
«Tendenzialmente i tuoi spazi non esistono».
«Lui deve sapere tutto, anche quello che dici di lui alle tue amiche e allo psicologo».
«Durante le litigate dice cattiverie pesanti e quando l’ho lasciato mi ha minacciato solo per farmi cambiare idea…».
«C’è stato un periodo in cui dopo esserci detti “Buonanotte” mi mandava sticker finché non vedeva che non ricevevo più messaggi per controllare che fossi davvero andata a dormire».
«Tutto quello che gli dici per lui è una promessa e prova a vincolarti così».
«Prendeva come un affronto il fatto che volessi tornare a casa prendendo l’autobus alla fermata più vicina e non in stazione».

«Una volta si è arrabbiato perché scesa dall’autobus volevo fare 5 minuti a piedi da sola mentre lui era da un’altra parte senza aspettarlo».

Cosa succede adesso

Che cosa succederà, ora, a Filippo Turetta? Cosa accadrà al 22enne padovano, condannato ieri, 3 dicembre, all’ergastolo per l’omicidio premeditato dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin? Era stato il suo avvocato Giovanni Caruso, nel corso dell’arringa difensiva, a definire l’ergastolo una pena “inumana”; a maggior ragione per un ragazzo di 22 anni, in un sistema giuridico che assegna alla pena un fine rieducativo.

Ma il pubblico ministero Andrea Petroni gli aveva risposto, facendo presente che l’ergastolo, oggi, è ben lontano dalla pena che abita le convinzioni collettive: l’ergastolo ostativo, quello del “gettare la chiave”, previsto per i reati di particolare gravità, sostanzialmente di stampo mafioso. E infatti, se nel corso di questi anni Filippo Turetta terrà un “comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento” - così come si legge nell’articolo 176 della Costituzione - allora, dopo 26 anni di detenzione, potrà chiedere la liberazione condizionale.

Sarà eventualmente il tribunale di sorveglianza a disporla, reintegrando Turetta alla vita sociale, con una sospensione della pena, subordinata alla non commissione di nuovi reati o contravvenzioni della stessa indole. Ma già prima della liberazione condizionale esistono degli ulteriori istituti giuridici, volti ad accompagnare il condannato in questo percorso di rieducazione e di reinserimento nella società.

Tra dieci anni, quando avrà 32, anni, Turetta potrà iniziare a chiedere i primi permessi premio, per uscire dal carcere per periodi limitati e sempre a determinate condizioni. E, tra venti, potrà chiedere la semilibertà, per lavorare o studiare all’esterno del carcere, pur con l’obbligo di rientrare in cella alla conclusione di queste attività. Come la liberazione condizionale, anche i permessi premio e la semilibertà sono concessi dal tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere sulla base del comportamento del detenuto.
Questo, chiaramente, vale allo stato attuale: la condanna all’ergastolo. Ma il legale di Turetta, Giovanni Caruso, ha già fatto sapere l’intenzione del suo assistito di ricorrere in appello, all’esito del quale la pena potrebbe divenire meno grave. E, di conseguenza, si accorcerebbero pure i tempi per la concessione di queste misure premiali.
 

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