Tutte le manovre verso il Conclave tra conservatori e progressisti
Da mercoledì 7 maggio i cardinali si riuniranno nella Cappella Sistina. L’elezione potrebbe avvenire già al secondo giorno di votazioni

Pochi giorni e avranno la responsabilità di scegliere. Non il più santo o il più capace, il più dotto o il più aggiornato, ma chi fra di loro eserciterà un ministero di comunione, impegnandosi a ricostruire l’unità, raccogliendo l’eredità di un pontificato impossibile da archiviare. Una scelta che avrà bisogno di un quorum particolare, lontano da ogni pratica democratica: due terzi dei votanti, 89 voti su 133 elettori (quattro non ancora arrivati).
Una scelta maturata da porporati sotto gli 80 anni che non hanno avuto troppo tempo per conoscersi, ma ai quali non sono mancati i consigli di dinamici ultraottuagenari, e, soprattutto non mancherà – lo ripetono– l’aiuto dello Spirito Santo.

La cui assistenza invocheranno nuovamente con il Veni Creator nella processione che il 7 maggio dalla Cappella Paolina li accompagnerà alla Sistina. Ovvero là dove “tutto concorre ad alimentare la consapevolezza della presenza di Dio, al cui cospetto ciascuno dovrà presentarsi un giorno per essere giudicato”, come si legge nella costituzione Universi Dominici Gregis promulgata da Giovanni Paolo II nel ’96 e ritoccata da Benedetto XVI nel 2013. E cioé là dove l’affresco michelangiolesco ricorderà a tutti i porporati il giudizio che li attende, mentre il gesto del cardinale Becciu, alle prese con altri giudizi, esclusosi e non escluso dalla Sistina dai suoi confratelli, impedirà formalmente ogni futura contestazione, essendo scopo del conclave proprio un’elezione senza contestazioni.
Un’elezione che, per la Chiesa, nella sua dimensione di discernimento aperto all’azione della Spirito, si configura come un atto di significato teologico ottemperando la promessa che leggiamo nel Vangelo di Matteo “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, dopo il primo Papa, scelto direttamente da Gesù: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.
Questo, allo stesso modo in cui significato teologico ha avuto anche il primato dell’ortoprassi nel pontificato appena concluso. Certo, sono i “fratelli cardinali” a esprimere il voto: lo Spirito Santo – lo ricordò Joseph Ratzinger da cardinale – “non prende esattamente il controllo della questione” e “lascia molto spazio, molta libertà”. E con libertà si muoveranno gli elettori, parecchi un po’ frastornati dall’attenzione mediatica loro riservata: «Dovremmo entrare in clausura senza cellulari, giornali, tv, non appena arrivati a Roma!» confidava ieri un porporato fra tante bocche cucite. Intenzioni di voto? Possibili cordate? Ipotesi delineate aspettando la prima conta e successiva verifica? Inutile partecipare al “toto-Papa” in una fase in cui gli stessi cardinali non hanno ancora concluso l’identikit e tutt’al più si sono formati le loro liste fatte da qualche nome.
Credibile la voce del conclave di un paio di giorni. E cioé quanti basterebbero entrandovi alla ricerca del Papa mediatore, rassicurante dopo stagioni movimentate, ma pure nella continuità senza essere fotocopia di Francesco. Probabilmente di più se i porporati, protagonisti della Chiesa di oggi –glocal– si impegnassero a far prevalere risposte aperturiste alle nuove attese provocate da Francesco, o, al contrario, per congelarle. Questo compattando i sostenitori dell’una o dell’altra posizione, che però si trovano sparsi dentro le stesse aree geopolitiche o compagini culturali o famiglie religiose (queste ultime numericamente più del doppio rispetto al conclave precedente).
Nel frattempo, arrivati con oggi alla nona congregazione generale dopo una settimana che ha visto anche l’analisi della situazione finanziaria oltre a temi come le riforme volute da Francesco e il diritto canonico, si concluderà domani il ciclo dei “novendiali”: a presiedere la messa sarà
Dominique Mamberti, il cardinale protodiacono che pronuncerà l’habemus papam. Un certo clima di concentrazione e attesa, non impedisce riunioni informali e conciliaboli nelle trattorie del borgo, negli appartamenti dei porporati residenti a Roma o nei Collegi stranieri.
Anche da lì si riaffacciano i nomi dei “papabili” ripetuti da giorni – a cominciare dal già Segretario di Stato – o nuovi profili che portano oltralpe ed oltreoceano. Se è vero che (usiamo le etichette per comodità!) i “conservatori” sono numericamente meno influenti dei “progressisti”, non sembrano ancora definite convergenze certe e si nota un maggior attivismo di reclutatori e pontieri causa i non pochi cardinali in scarsa familiarità con l’istituzione centrale.
Poi capiterà come sempre. Non solo per i riti consueti precedenti l’ingresso in conclave: la Missa pro eligendo Romano Pontifice, la meditazione con gli ultimi moniti, l’extra omnes. Con candidati che azzereranno le loro candidature, forse qualche “carta coperta”, soccorsi attesi o rifiutati. Impossibile l’elezione nell’unico scrutinio di mercoledì dove il numero dei voti di partenza non è affatto decisivo.
L’indomani alcuni proveranno a votare un altro nome di quelli immaginati: questo il passaggio in cui si potrebbe formare quel “pacchetto”di quasi quarantacinque voti (un terzo) che restando coeso blocca anche il candidato più forte, mettendo in corsa altri nomi sui quali tornare a votare. Successivamente gli elettori –per non dare l’immagine di una Chiesa spaccata– sceglieranno chi ha ricevuto il maggiore consenso facendo convergere i voti sudi lui, oppure continuando con altri nomi. Sino alla fumata bianca dal comignolo rimontato ieri sul tetto della Sistina, pronta ad annunciare al mondo – per usare le parole del cardinale Laurenti nel 1922– “il Papa che Dio vuole o almeno concede”. —
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