“Pazi Snajper”: i nidi dei cecchini nascosti a Sarajevo
Mercoledì sera al Teatro Miela di Trieste lo spettacolo di Roberta Biagiarelli. Rumiz: «Ho scoperto ora che ad ammazzarmi poteva essere un triestino come me»

“Pazi Snajper | Attenzione cecchino”, sarà in scena al Miela di Trieste mercoledì19 novembre, alle 20.30, in collaborazione con il Premio Luchetta e con l’Associazione Tina Modotti. In scena Roberta Biagiarelli e Sandro Fabiani, con la regia di Luca Bollero e immagini di Luigi Ottani. Lo spettacolo è prodotto da Bonawentura, Contato del Canavese e Babelia, nell’ambito di S/Paesati. Lo spettacolo sarà preceduto oggi, martedì, alla stessa ora, sempre al teatro Miela, dal monologo della stessa Biagiarelli sull’ecatombe di Srebrenica.

Trent’anni fa ero a Sarajevo assediata come giornalista, e oggi, appena trent’anni dopo, scopro che ad ammazzarmi in poteva essere un triestino come me. Uno che magari conosco e incrocio in città. Uno ricco e ben coperto da una rete di omertà. Chi su questo sa moltissimo è Roberta Biagiarelli, che mercoledì 19 novembre verrà proprio a Trieste per narrare – con uno spettacolo, “Pazi Snajper”, al teatro Miela - il mondo che il nostro misterioso killer ha frequentato da vicino: quello dei cecchini.
Roberta che ne pensi di questa ultima scoperta?
«Svela una realtà inquietante, ma che non mi sorprende. Dei cecchini stranieri si sapeva da tempo. Io l’ho capito vent’anni fa, quando, passeggiando in città a Sarajevo, un’amica mi ha detto: Vedi quello lì? Durante la guerra ha fatto il cecchino».
E allora che hai fatto?
«Ho pensato a questo spettacolo, e con il fotografo Luigi Ottani sono andata nei nidi dei cecchini. Piani alti degli edifici, abbaini, anfratti nelle montagne attorno a Sarajevo. Era come se se ne fossero appena andati via. C’era un pagliericcio alla buona, coperte stropicciate, cassette per le munizioni, mozziconi di sigarette, bottiglie vuote... E’ stato Luigi a farmi traguardare la città con l’occhio di chi spara».
Pensi che chiunque in certe condizioni potrebbe diventare un assassino?
«I cecchini non hanno le orecchie a punta, non si segnalano come mostri, sono persone qualunque che per ideologia, soldi, o per la patria scelgono di farsi assassini per poi tornare alla vita di sempre».
Pensi che anche questo triestino sia una persona come tante?
«Lo immagino uomo annoiato, in cerca di esperienze limite. Oggi poi, l’uso malsano della Rete può farti scivolare facilmente verso un’attrazione malsana, farti compiere un “salto di specie” da cui nessuno di noi può ritenersi immune».
Un uomo con la certezza dell’impunità...
«La cosiddetta pace di Dayton ha lasciato sul campo tanta giustizia non fatta. Certo, alcuni criminali sono stati assicurati alla giustizia. Ma in tanti, troppi, non hanno pagato. Vivono accanto ai parenti di chi hanno ucciso».
Luigi come ha inquadrato la città dall’alto?
«All’inizio la sua preoccupazione era solo “tecnica”. Come riprodurre il rapporto d’ingrandimento del cannocchiale del fucile di precisione. Nel 2015 si portò sulle montagne uno zaino di teleobiettivi e duplicatori di focale. Ma poi, appena inquadrata il vecchio mercato di Baščaršija formicolante di persone, vedendo i volti delle persone da vicino, l’ho sentito in preda a un grande malessere».
Cosa si vede da lassù?
«La città, stesa come sul palmo di una mano, che si offre in tutta la sua bellezza e vulnerabilità. Allora capisci quanto è facile uccidere. Da qui la potenza evocativa delle foto di Luigi, incorniciate in formato vintage polaroid, “one shot”, e invecchiate per sembrare un reperto di guerra, e poi con un mirino accanto al soggetto per restituire l’attimo. Quello tra vita e morte. Poi mi sono concentrata sui testi e sulle testimonianze».
Che attualità pensi abbia questo lavoro?
«Più che di attualità parlerei di utilità. Nelle dinamiche dalla guerra dei Balcani ci sono molti insegnamenti per leggere il presente. È da quasi trent’anni che mi occupo di teatro storico, una narrazione che affonda le sue radici nella nostra Storia recente, questo è il mio modo di stare al mondo, la mia cifra poetica».
Qualcuno ha imparato la lezione?
«Quando ho cercato di promuovere lo spettacolo con gli organizzatori teatrali e le amministrazioni pubbliche, mi dicevano che non si può fare. È da anni che nei teatri italiani vince l’intrattenimento. Eppure, la nostra Costituzione recita chiaramente: sostegno all’arte che concorra alla crescita culturale».
Da quanti anni fai questo spettacolo?
«Da tre almeno. Lo abbiamo replicato su una decina di piazze. Oggi, le novità sui cecchini del fine settimana e l’avvio dell’inchiesta a Milano forse daranno più visibilità a questo mio progetto, ma chissà... tutto è imprevedibile ormai».
Quanta ricerca hai fatto per concepirlo?
«Tanta, almeno dieci anni di indagini, raccolta materiali, interviste a testimoni, studio, viaggi. Tutto il progetto non esisterebbe se non avessimo avuto per alleati amici speciali. Jovan Divjak, che coordinò la difesa della città. Azra Nuhefendic giornalista e scrittrice di Sarajevo. Mario Boccia fotografo e giornalista che dentro l’assedio di Sarajevo è entrato per ben 46 volte realizzando foto iconiche. Per arrivare poi alla drammaturgia c’è voluto Luca Bollero, regista di Pazi Snajper».
Il tuo pubblico ha capito?
«Si è sentito trascinare dentro all’assedio e questo per me è un ottimo risultato, giocando anche sull’ambiguità dei due protagonisti che portiamo in scena io e il mio collega Sandro Fabiani: un Lui e una Lei chiusi in un appartamento nella morsa dell’assedio e che si alternano alle scene con i soliloqui del cecchino e della cecchina, senza giudicarli mai, ma lasciando il pubblico tirare le fila di personali considerazioni e giudizi».
Che reazioni alle foto del libro?
«Certe, incredibili. Un’amica di Sarajevo, che allora era bambina, ha riconosciuto il posto da cui ogni giorno un cecchino sparava sulla sua terrazza. Io e mia sorella, mi scrisse, non potevamo mai uscire fuori a giocare perché quello stronzo ce lo impediva. Eppure dentro l’assedio volevamo vivere e basta».
L’Europa ha imparato la lezione?
«L’Europa ha rimosso tutto. Basta riascoltare le prime dichiarazioni sul conflitto in Ucraina: la guerra è tornata in Europa da dopo la fine della Seconda guerra mondiale… E la guerra dei Balcani? Questa assenza di memoria è pericolosissima. Sento una vergognosa mancanza di assunzione di responsabilità».
Crede che oggi i morti musulmani siano diventati di serie B?
«Dopo Srebrenica, certamente è così. I morti innocenti non sono tutti eguali. Ormai siamo al suprematismo violento. Ma io mi ostino ad avere speranza». —
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