Castel d’Azzano, quella strage era evitabile? I dubbi di un ex ministro
Flavio Zanonato: «Forse non sapremo mai se quella scelta sia stata inevitabile o il frutto di un errore di valutazione, di una catena di comandi troppo rigida. Ma è giusto chiederselo»

La Procura di Verona ha aperto una inchiesta a carico dei tre fratelli Ramponi, accusandoli di strage per avere causato l’esplosione del casolare sotto il quale sono rimasti sepolti il carabiniere scelto Davide Bernardello, il brigadiere capo Valerio Daprà e il luogotenente Marco Piffari. L’inchiesta dovrà certo stabilire le respossabilità dei fratelli, ma anche ricostruire – per capire la dinamica dei fatti – con la massima precisione possibile le fasi di ideazione del blitz, la sua esecuzione, la catena di comando.
Chi è Zanonato
Flavio Zanonato ha scritto la lettera aperta che vi proponiamo qui sotto in vesione integrale. Classe 1950, Zanonato è un politico di lungo corso. Una carriera iniziata nel PCI, sfociata nella elezione a sindaco di Padova nel 1993 nelle file del centrosinistra, allora PDS. Rieletto primo cittadino nel 1995, sarà invece sconfitto nel 1999, alla ricerca del terzo mandato per poi tornare a vincere nel 2004. Nel 2007 aderisce al PD, nel 2009 è ancora eletto sindaco della città del Santo prima di intraprendere la carriera a Roma: ministro allo sviluppo economico nel Governo Letta nel 2013, poi europarlamentare. Infine, il passaggio dal PD ad Articolo 1 nel 2017.
La lettera aperta

Mentre assistevo in televisione alla cerimonia funebre dei tre carabinieri assassinati a Castel D'Azzano— tre servitori dello Stato caduti in modo assurdo nell’adempimento del proprio dovere — non riuscivo a staccare il pensiero dall’operazione che aveva portato a quella tragedia.
Le immagini solenni dei funerali, la compostezza delle famiglie, la partecipazione delle autorità e dei colleghi in uniforme esprimevano un dolore profondo, condiviso da tutto il Paese. Alla cerimonia erano presenti il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, numerosi ministri, comandi militari e autorità religiose. La loro presenza, pur segnata dalla commozione, non bastava a cancellare le domande che continuavano a pesarmi dentro. Perché, mentre scorrevano le immagini del picchetto d’onore e i tricolori si piegavano al passaggio delle bare, non riuscivo a non pensare alle circostanze in cui quei tre uomini avevano perso la vita.
Era davvero inevitabile mobilitare un tale dispiegamento di forze per sgomberare tre individui evidentemente disturbati, ai margini della società, che da giorni minacciavano di farsi saltare in aria con il gas? Da ciò che si è visto, la loro abitazione era poco più che una baracca, e loro stessi apparivano come persone sbalestrate, prive di equilibrio e di ogni contatto con la realtà.
Serviva davvero un’operazione di notte, con decine di uomini armati, come per affrontare terroristi o mafiosi? I tre carabinieri uccisi, va ricordato, non avevano alcuna responsabilità nelle decisioni operative. Hanno obbedito agli ordini, come impone la disciplina, e lo hanno fatto con coraggio e senso del dovere. Ma la domanda resta: chi ha deciso quell’intervento? Non si poteva attendere, isolare la zona, tentare una mediazione, coinvolgere psicologi o negoziatori esperti?
Forse non sapremo mai se quella scelta sia stata inevitabile o il frutto di un errore di valutazione, di una catena di comandi troppo rigida. Ma è giusto chiederselo, perché tre vite — quelle dei carabinieri — sono state spezzate inutilmente, e altre tre si sono perdute nella follia e nella disperazione.
Questa vicenda interroga tutti: le forze dell’ordine, le istituzioni, la politica, ma anche noi cittadini. Ci obbliga a riflettere su come affrontiamo la marginalità, la malattia mentale, la povertà estrema. Forse dietro quella “baracca miserabile” non c’erano solo tre squilibrati, ma il fallimento di un sistema incapace di prevenire e di ascoltare. E mentre le bandiere si inchinano davanti ai feretri, mentre il Presidente della Repubblica e il governo rendono omaggio al sacrificio dei carabinieri, resta un dovere morale: capire perché è accaduto e come evitare che accada ancora. Perché l’eroismo di quei tre uomini non resti vano, e la pietà diventi anche giustizia e responsabilità.
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