Street art a Conegliano, da Banksy ai topi neri

Fino al 22 marzo Palazzo Sarcinelli di Conegliano ospita una collezione di opere nate ai margini delle metropoli: ribellione, pacifismo e accuse al consumismo

Marina GrassoMarina Grasso
Una delle opere esposte a Palazzo Sarcinelli di Conegliano
Una delle opere esposte a Palazzo Sarcinelli di Conegliano

Le pareti affrescate di un palazzo rinascimentale e l’eco dei muri delle città.

È questo il dialogo che si è aperto il 15 ottobre a Palazzo Sarcinelli di Conegliano con “Banksy e la Street Art”, che fino al 22 marzo 2026 indagherà uno dei linguaggi più radicali e popolari della contemporaneità: la street art, nata ai margini delle metropoli e capace di imporsi nei musei e nelle collezioni internazionali.

Ottanta opere

Organizzata da Artika in collaborazione con il Comune di Conegliano, la mostra curata da Daniel Buso propone oltre ottanta opere, di cui una quarantina firmate da Banksy, selezionate da Deodato Arte, tra i principali punti di riferimento europei per la pop e urban art. Il percorso indaga ribellione, pacifismo, controllo e propaganda, consumismo: i temi che più hanno definito la poetica di un movimento nato per sfidare le regole.

Banksy è il fulcro del racconto: come tutte le esposizioni dedicate all’artista, anche questa non è autorizzata ufficialmente, ma ribadisce comunque l’autonomia e la forza dei suoi messaggi con serigrafie in edizione limitata e pochi pezzi unici, testimonianza della coerenza e della forza del suo linguaggio.

Il percorso

Ad aprire il percorso è “Forgive Us Our Trespassing” (2010), vernice spray su compensato: un giovane artista di strada inginocchiato in preghiera che sgrana un rosario – un omaggio alla fragilità e alla dignità di chi fa dell’arte un atto di libertà.

Seguono alcune delle immagini più note, come “Love is in the Air”, in cui la violenza del gesto si trasforma in speranza; “Flying Copper”, dove un agente armato mostra un sorriso da cartoon; “Queen Vic”, caricatura della regina Vittoria in versione grottesca; e “Napalm”, in cui Mickey Mouse e Ronald McDonald tengono per mano la bambina vietnamita che fugge dai bombardamenti nel 1972.

Una sintesi di innocenza e violenza, fede e disillusione, ribellione e resa al consumismo: opere dedicate alla pace e al controllo sociale che rovesciano la retorica bellica e smascherano i meccanismi del potere, mentre quelle sul consumismo raccontano la fragilità di una società che trasforma tutto in merce, persino l’arte.

Alcune immagini rimandano anche agli interventi sul muro di Gaza, dove Banksy trasformò la barriera in un paradosso visivo fatto di aperture e illusioni – finestre sul mare, bambini che si sollevano in volo, colombe di pace in giubbotto antiproiettile. Come un filo che percorre tutta la sua opera, ritorna il palloncino rosso a forma di cuore, simbolo di fragilità e speranza, segno minimo e universale della libertà che l’artista continua a inseguire.

Gli altri sguardi

Attorno a lui, la mostra apre il campo a una pluralità di sguardi che raccontano la genealogia e l’evoluzione dell’arte urbana. C’è Blek le Rat, pioniere dello stencil e suo dichiarato riferimento, che dagli anni Settanta dissemina sui muri di Parigi i suoi topi neri, simboli di libertà e sopravvivenza: “gli unici animali veramente liberi in città”, come li definì lui stesso. Le sue tecniche miste su legno conservano quella tensione tra immagine religiosa e gesto sovversivo che ispirò lo stesso Banksy nei suoi primi lavori.

C’è Keith Haring, che trasformò i tunnel della metropolitana newyorkese in un laboratorio collettivo, e con i suoi omini neri in movimento inventò un linguaggio capace di parlare a tutti, oltre le barriere sociali e linguistiche.

E c’è Shepard Fairey, alias Obey, il teorico della propaganda ribaltata: le sue serigrafie su carta, dominate dal rosso, dal nero e dall’avorio, raccontano come le immagini pubblicitarie o politiche possano essere usate per smascherare i dispositivi di persuasione che governano la società dei media.

La street art e l’era digitale

Il percorso espositivo include anche gli artisti che hanno portato la street art nell’era digitale: Mr. Brainwash, che mescola icone pop e cultura televisiva in collage esplosivi; Mr. Savethewall, “post-street artist” italiano che trasforma il muro in concetto e ironia; TvBoy, che usa la tenerezza del bacio come gesto di disarmo simbolico; e Invader, che dissemina i suoi mosaici di ceramica come tracce di un’arte capace di colonizzare anche lo spazio virtuale. Ne nasce un racconto corale, dove ribellione e gioco, militanza e leggerezza si mescolano in una stessa, continua tensione.

E nelle sale affrescate di Palazzo Sarcinelli, dove i pannelli dell’allestimento coprono in parte i decori e lasciano affiorare la pittura antica come eco di un tempo che resiste, il contrasto tra la storia e l’irrequietezza della strada diventa domanda: che cosa resta di un’arte nata per essere sovversiva quando entra nei musei, quando si lascia incorniciare, quando diventa collezione? Forse è proprio in questo fragile bilico tra strada e museo, tra gesto effimero e permanenza, che la street art continua a restituire la propria seducente dualità. Info: www.artikaeventi.com. —

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