Redford, addio leggenda
Ci sono attori che non appartengono solo al cinema, ma a un immaginario collettivo che supera la semplice dimensione artistica. Robert Redford è stato un’icona, un simbolo, un ideale e un’aspirazione


Ci sono attori che non appartengono solo al cinema, ma ad un immaginario collettivo che supera la semplice dimensione artistica. Robert Redford è stato un’icona, un simbolo, un ideale e un’aspirazione.
È morto ieri, a 89 anni, nella sua casa nello Utah. La sua scomparsa segna non solo la perdita di un enorme attore e regista, ma anche di un attivista e di un pioniere. Più in generale, marca la fine di un’epoca in cui il cinema americano sapeva coniugare glamour e coscienza civile.
L’epifania di un mito

Volto biondo e solare dell’«American Dream», l’epifania di Redford resta unica. Lontana dalla virilità e dalla durezza di un Clint Eastwood, ma anche dall’ironia disincantata di un Paul Newman. Distante dall’istrionismo anarchico di un Jack Nicholson e dal profilo nervoso del suo “opposto” Dustin Hoffman. Redford era bello senza mai compiacersene, magnetico senza arroganza. Ma, soprattutto, capace di fondere il mito hollywoodiano con il rigore morale dell’artista impegnato.

Sempre equilibrato nel camminare lungo il confine sottilissimo tra icona e autore sensibile alla propria realtà, interprete che cavalca il box office ma anche demiurgo e custode della più importante vetrina internazionale per il cinema indipendente - il “Sundance” - senza il quale la scena americana sarebbe stata più asfittica, più omologata.
La parabola artistica

Nel ripercorrere la sua parabola artistica (una carriera cominciato nel 1960 fino all’ultimo, modernissimo, cameo nel superomistico “Avengers: Endgame”), Robert Redford è riuscito a piegare la propria bellezza, platonica e rassicurante, in una infinita scala di tonalità. Se con “A piedi nudi nel parco” (‘67) Redford è ancora e “soltanto” un giovane brillante capace di condividere la scena con l’esplosiva Jane Fonda, già due anni dopo “Butch Cassidy” segna una prima svolta, grazie a quel bandito romantico, in un western crepuscolare e ironico, proprio in coppia con Paul Newman con il quale reciterà anche nel film “La stangata” che li consacrerà come portatori di una mascolinità meno granitica, tra raffinatezza e intrattenimento. Ancora sfumature romantiche (ma anche tensioni ideologiche) abitano il protagonista di “Come eravamo”, al fianco di Barbra Streisand, per poi diventare quasi tragiche nell’eroe di Fitzgerald “Il grande Gatsby”.
Il mosaico dei settanta

A metà degli anni ’70 il mosaico delle sue interpretazioni disegna traiettorie politiche, civili ma anche esistenziali. Dalle paure post-Watergare con “I tre giorni del Condor” al giornalista implacabile di “Tutti gli uomini del presidente”. Dalla star del rodeo in declino (“Il cavaliere elettrico”, intriso del suo sempre più crescente impegno ecologista) al giocatore segnato dal destino (Il migliore). Fino ad un classico come “La mia Africa”, in cui è amante idealizzato e simbolo di un mondo in dissolvenza. Sono gli anni in cui Redford rivela la propria sensibilità registica, con un gusto per una certa narrativa morale.

Il suo esordio dietro la macchina da presa con “Gente comune”, storia sulla fragilità della famiglia borghese, gli vale subito un Oscar nel 1981. Ma la sua regia più coraggiosa resta “Quiz Show”, dramma etico e predittivo sul potere dei media e sulla manipolazione della verità. Il suo è un cinema classico ma non polveroso, elegante ma complesso e profondo in egual misura.
Negli anni 2000, oltre al piccolo gioiello di tensione “Spy Game” in cui è il mentore, disilluso, del giovane agente Brad Pitt, Redford interpreta (e dirige) “Leoni per agnelli”, quasi un interrogatorio degli Stati Uniti all’epoca delle guerre in Afghanistan e Iraq. Nell’ultimo periodo aveva scelto ruoli più rari ma significativi, come quello dell’uomo solo in balia dell’oceano in “All Is Lost”, prova muta eppure potentissima, o quello del criminale gentiluomo nel film “The Old Man & the Gun”, quasi il suo testamento artistico nel ruolo di un ladro incapace di smettere di vivere secondo le proprie regole.
Il nuovo carisma

Quelle che gli hanno consentito di non farsi mai davvero ingoiare da Hollywood ma, soprattutto, di trasformare la bellezza in carisma e, allo stesso tempo, il carisma in coerenza.
E poi, in modo particolare, di fondare il Sundance Film Festival, monumento alla sua fiducia nei giovani, nelle nuove idee e in tutte quelle storie che a Hollywood non avrebbero trovato spazio.
Con Robert Redford e quello sguardo “azzurro” capace di intrattenere e interrogare, non muore solo un gigante del cinema. Scompare un mondo intero, di cui, per fortuna, restano per sempre le tracce nei suoi film.
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