A passeggio nei Balcani con il principe spia figlio illegittimo del Doge
Tra storia e avventura, l’intrigo della vita di Gritti nel libro di Pieralvise Zorzi: «Un avventuriero rinascimentale nello stile del Valentino»

C’è un doge che a distanza di 500 anni gode giustamente di grande fama e non solo tra gli storici; Andrea Gritti, autore di quella “Renovatio urbis” che risollevò le sorti della Serenissima, prostrata dopo la lega di Cambrai, e l’immagine, anche architettonica, della Dominante.
Ma in quegli stessi anni un altro Gritti, Alvise, figlio naturale del doge, movimentò le cronache e la Storia, finendo travolto dalla sua stessa grandeur. Ora sulla sua figura, avvolta da una “damnatio memoriae”, indaga col piglio dello storico che strizza l’occhio al feuilleton e al romanzo d’avventura, l’ultimo libro di Pieralvise Zorzi, “Il Serenissimo bastardo. Il figlio del doge che volle farsi re” (Neri Pozza editore, € 20).
Perché la vita di Alvise è un sapiente mix, come conferma l’autore: «è un avventuriero rinascimentale nello stile del Valentino, Cesare Borgia, che sfrutta il nome del padre a Costantinopoli quanto non avrebbe potuto fare a Venezia, dove non contava nulla, perché illegittimo».
Un po’ rinascimentale, molto da spia balcanica otto-novecentesca: perché anche all’inizio del XVI secolo i Balcani rappresentano un problema politico da far perdere letteralmente la testa a molti. Come accadrà allo stesso Alvise, e nonostante la sua sterminata fortuna economica.
Il racconto di Zorzi prende le mosse dalla fine, quando Francesco della Valle, il segretario particolare di Alvise, porta la notizia della sua scomparsa al padre Andrea Gritti, il doge. La fonte principale sono le memorie di Della Valle pubblicate nel 1857 a Pest, Ungheria. Ciò non deve stupire, perché la sua fama oggi è rimasta molto più forte in area danubiana e a Istanbul, come testimonia d’un lato la provenienza degli autori della monografia più accurata, i magiari Gizella Nemeth Papo e Adriano Papo, che nel 2002 pubblicano Ludovico Gritti.
Un principe mercante del Rinascimento tra Venezia, i turchi e la corona d’Ungheria; dall’altro la presenza di un intero quartiere di Galata, chiamato Beyoglu (figlio del principe). Zorzi immagina Della Valle affranto, in Collegio, mentre parla al doge e ai Savi, ricostruendo gli ultimi istanti di Alvise, tradito dai voivodina moldavi e dai principi transilvanici. Da qui parte un lungo, cinematografico flashback che ripercorre la vita di quest’uomo, nato a Costantinopoli nel 1480, un anno dopo che il padre, il futuro doge, rimasto giovane vedovo, vi era giunto in cerca di miglior fortuna.
Qui Andrea trova una splendida greca che sposa e dalla quale ha quattro figli, il primogenito Alvise, Lorenzo, Giorgio, Pietro. Un matrimonio che non ha alcun valore per la Serenissima, ma che influirà molto sulle sorti di Alvise, che dopo studi padovani, decide di ripercorrere le strade paterne e tornare a Galata. Alvise è descritto alto, con capelli neri e barba, parla correntemente italiano, greco, turco e latino, spericolato nelle amicizie, grande adulatore al punto da diventare prima amico intimo del Gran Visir Ibrahim Pasha e poi, d’intesa con lui, anche del sultano Süleyman, Solimano il Magnifico.
Amicizie in cui ognuno collaborava con l’altro per acquisire potere e ricchezza. «In breve divenne un uomo fondamentale, capace di esercitare un ruolo importantissimo per Venezia, in un momento in cui la Repubblica, non più così forte a livello diplomatico internazionale, cercava segrete alleanze con la Sublime Porta», continua Zorzi, che ricorda anche come il bailo veneziano si servisse abitualmente dei servigi del “bastardo Gritti”.
Ma come spesso accade le ascese repentine portano a cadute rovinose. E così fu per Alvise, al seguito della spedizione ottomana nei Balcani che conquistò l’Ungheria dopo la battaglia di Mohács (1526) e giunse ad assediare Vienna. Gritti cercò di approfittare del vuoto di potere per farsi proclamare re d’Ungheria.
Tradito da tutti, mentre anche la stella del Gran Visir tramontava, venne travolto da una rivolta di popolo e nobili, consegnato agli ungheresi e decapitato a Medgyes (oggi Medias, in Romania) nel 1534, con gran dolore del doge. Anche i due figli di Alvise finirono uccisi, mentre si persero le tracce dei fratelli: così, quattro anni dopo, alla morte di Andrea Gritti si estingueva la prestigiosa casata. O forse no: nel bergamasco esiste la nobile famiglia dei Gritti Morlacchi, ovvero valacchi neri o del nord.
Solo un caso di omonimia?
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