Michele Ruol, frammenti di un dolore

L’autore padovano, tra i finalisti del Premio Strega, racconta il suo romanzo: «Ho dovuto mettere filtri per avvicinare una materia letteraria incandescente»

Nicolò Menniti Ippolito
Michele Ruol è la grande sorpresa del Premio Strega di quest’anno
Michele Ruol è la grande sorpresa del Premio Strega di quest’anno

Michele Ruol è la grande sorpresa del Premio Strega di quest’anno. Il suo Inventario di quel che resta quando la finestra brucia, edito da un piccolo ma raffinato editore come Terrarossa è entrato nella cinquina dei finalisti, scalzando autori dati per favoriti. Padovano, alle soglie dei quarant’anni, due figli piccoli, Michele Ruol di professione è medico anestesista a Treviso, ma scrive da sempre, o quasi.

Come si conciliano scrittura e professione medica?

«Sono aspetti apparentemente distanti, ma per me hanno forti punti di connessione. Tenere l'equilibrio tra queste due cose è essenziale anche per il mio equilibrio. Dopo il Liceo ero incerto se iscrivermi a Lettere o Medicina. Poi ho preso la strada della medicina, ma ho sempre cercato di mantenere viva la passione per la letteratura. Ho avuto la fortuna di incontrare un gruppo teatrale come “Amor vacui” e ho cominciato con loro».

Cosa le ha insegnato il teatro?

«In realtà ho sempre coltivato in parallelo la scrittura narrativa: racconti e qualche romanzo nel cassetto. Sono scritture diverse, che però, in qualche modo, si completano a vicenda. Anche in questo libro ho tratto forza dalla esperienza teatrale. Per esempio, il romanzo è strutturato come un inventario e all'inizio dei capitoli ci sono brevi descrizioni delle stanze in cui ci sono gli oggetti. Queste descrizioni degli spazi sono di fatto didascalie teatrali».

Con “Amor Vacui” avete sempre realizzato testi attenti alla contemporaneità.

« La connessione con il contemporaneo nel romanzo c'è, ma in maniera meno dichiarata. Il romanzo è sospeso nel tempo, i personaggi non hanno nome proprio (Padre, Madre, Maggiore e Minore ndr.), non c'è una dichiarazione di luogo. Mi interessava indagare le relazioni di una coppia che si trova ad affrontare vicende che in qualche modo alterano tutti gli equilibri. Detto questo, è comunque una coppia inserita nei conflitti contemporanei». Il libro racconta il dolore. E’ servita l’esperienza medica? «Faccio l'anestesista, la specialità medica che si occupa del dolore. E’ un aspetto della vita con cui sono quotidianamente a contatto e che pone domande che trascendono l'esperienza medica. Sono soprattutto domande di senso: perché dobbiamo affrontare il dolore, che senso dargli, come accettarlo? Sono domande esistenziali cui la letteratura può provare a dare risposta. Non mi illudo che sia facile trovarle, ma è un modo per riflettere sulle domande lasciate senza risposta dalla medicina».

Lei ha due figli ma ha scritto un libro sulla perdita dei figli. E’ stato angosciante?

«È stato molto faticoso. Ho dato voce alla paura più grande che uno possa avere, forse per esorcizzarla. Nel momento in cui si diventa genitori arriva una gioia incommensurabile, però arriva insieme anche una fragilità che, per esempio, io non pensavo di avere. Prima di diventare genitore mi sentivo più forte, meno attaccabile. Scrivere il libro come un inventario, attraverso gli oggetti, è stato un modo per mettere una sorta di filtro: raccontare la storia mantenendomi alla giusta distanza. E’ lo stesso motivo per cui c’è una struttura frammentaria, un andare e venire nel tempo, che accompagna questa coppia in momenti molto dolorosi, ma anche molto felici. Questo ha aiutato me nella scrittura ma credo possa in qualche modo aiutare anche il lettore ad attraversare il libro senza sprofondare nel dolore più nero».

Uno stile, il suo, anomalo nel panorama italiano.

«Come lettore sono assolutamente trasversale, leggo in realtà molta letteratura italiana. Per questo romanzo, dal punto di vista stilistico, forse il modello è stata Agotha Kristof. Ammiro molto la sua capacità di far passare una potenza incredibile attraverso l'asciuttezza e la brevità».

Dopo più di un anno il libro è ancora “vivo”, continua ad essere in libreria. Una sorpresa?

«Sì, un'enorme sorpresa. Nel momento in cui è uscito non immaginavo il percorso che avrebbe fatto. Oltre allo stupore provo anche una grande riconoscenza per chi, l’Editore in primo luogo, ha permesso a questo libro di avere questa lunga vita. I premi hanno sicuramente aiutato, ma la cosa molto bella è stato il passaparola tra lettori».

Con quale spirito andrà il 3 luglio alla finale Strega?

«Esserci è già gratificante. Mi sento fortunato e quindi alla serata andrò tranquillo».

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