Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 19 dicembre

Ferzan Özpetek e la sua parure di 18 attrici in “Diamanti”. Dall’omonimo romanzo di Robert Harris arriva in sala “Conclave” di Edward Berger con Ralph Fiennes. In uscita anche “Una notte a New York” con Sean Penn e Dakota Johson: quando una corsa in taxi diventa una seduta di psicoanalisi

Marco Contino e Michele Gottardi
Il film "Conclave"
Il film "Conclave"

“Diamanti” è il nuovo film di Ferzan Özpetek: 18 attrici per una storia tra finzione e realtà, utopia al femminile sul potere delle donne. Ma, alla fine, la vanità è tutta del suo autore.

“Conclave” di Edward Berger è un thriller ambientato nel mondo della Chiesa: ispira Robert Harris, interpreta Ralph Fiennes (e anche la nostra Isabella Rosellini). Candidato a sei Golden Globe.

“Una notte a New York” della sceneggiatrice Christy Hall (al suo esordio alla regia) è interamente girato dentro a un taxi: tra il suo conducente – Sean Penn – e la passeggera - Dakota Johnson - si instaura un rapporto intimo e profondo. Un viaggio inaspettato che non dimenticheranno.

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Diamanti

Regia: Ferzan Özpetek

Cast: Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Mara Venier, Geppi Cucciari, Stefano Accorsi

Durata: 135’

Il film "Diamanti"
Il film "Diamanti"

Sono tante e sono brave. Ferzan Özpetek si circonda di 18 attrici, i suoi “Diamanti”, per raccontare una storia che affonda le radici nei propri ricordi di aiuto-regista, quando, nella mitica sartoria Tirelli, osservava le stoffe trasformarsi in abiti, gli abiti in personaggi e i personaggi in sogni di cinema.

Sarà anche per questo motivo che il suo nuovo film si muove in bilico tra finzione e realtà, memoria e presente, utopia (un mondo di sole donne) e desiderio di rendere concreta quella chimera tutta al femminile.

“Diamanti” si apre con lo stesso regista (ovviamente in uno dei suoi tradizionali momenti di convivialità culinaria) che spiega alle sue attrici (e ai pochi attori del cast) l’idea del suo nuovo film sul potere delle donne, sul loro essere niente e tutto, formichine che sembrano non contare niente da sole, ma insieme… Nell’inquadratura successiva si entra in scena: siamo negli anni ’70, all’interno di un meraviglioso palazzo che ospita la sartoria teatrale e cinematografica delle sorelle Canova.

Alberta (Luisa Ranieri) la governa con schiocco militaresco: ordina, pretende, non scusa; Gabriella (Jasmine Trinca) è quella più remissiva e dolente (per colpa di un trauma che la squarcia da dentro). Il lavoro è frenetico e lo diventa ancora di più quando la costumista premio Oscar Bianca Vega (Vanessa Scalera) commissiona alla sartoria i costumi elaboratissimi di un film ambizioso diretto da un regista isterico (Stefano Accorsi), mettendo sotto pressione un coro variegato di sarte e modiste (tra le altre Paola Minaccioni, Lunetta Savino, Nicole Grimaudo, Anna Ferzetti, Geppi Cucciari, Milena Mancini) che si barcamenano tra turni lunghissimi e vite familiari attraversate da piccoli e grandi problemi.

Mentre le dive del teatro (Carla Signoris) e del cinema (Kasia Smutniak) litigano durante la prova costumi e la cuoca-matriarca della sartoria (Mara Venier) cucina polpette e pasta al forno per interi reggimenti, Özpetek appare e scompare per “far vedere” che dietro a quel mondo (Geppi Cucciari, a cui sono riservate le battute più caustiche del film, lo chiama “il vaginodormo”) c’è lui, la sua visione della realtà (o, meglio, di quella che vorrebbe fosse la realtà).

L’operazione meta-cinematografica ha anche il suo senso ma l’utopia, dopo un po’, comincia a zoppicare, a bearsi di se stessa e, infine, a diventare persino un po’ ruffiana quando, in un afflato di falsa modestia, Özpetek fa dire alle sue sarte che, dei gusti del regista, in fondo, se ne impipano. Invece, il regista conta, eccome. Perché il protagonista, alla fine, è proprio lui, la sua immaginazione e il suo modo di concepire il cinema (come lasciano intendere, senza troppi equivoci, le sequenze finali).

E, paradossalmente, nonostante la parure di 18 attrici, quest’ultimo Özpetek è, forse, il più autoreferenziale degli ultimi anni, “il” diamante tra i diamanti. Con qualche scampolo di cinema (grazie, soprattutto, alla bravura di tutte le interpreti), tanti (e troppo abusati) brani musicali (ancora “Mi sei scoppiato dentro al cuore”?) e una generale sensazione che - a forza di raccontare quanto questo film voglia essere un sincero e appassionato omaggio alla forza femminile - quel costume finale, frutto di tanto sforzo, sia, sì magniloquente, sfarzoso e rosso di passione ma, alla fine dei conti, resti sempre e solo un abito di scena. Finto. (Marco Contino)

Voto: 5,5

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Conclave

Regia: Edward Berger

Cast: Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Sergio Castellitto, Isabella Rossellini, John Lithgow

Durata: 120’

Il film "Conclave"
Il film "Conclave"

Niente di nuovo sul fronte papale. Lo avranno già scritto in tanti, citando il precedente film del regista tedesco Edward Berger che nel 2022 aveva adattato per il grande schermo (con ottimi risultati e premi) il romanzo di Erich Maria Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

Con “Conclave” Berger, questa volta, sceglie un thriller di ambientazione vaticana, ispirato all’omonimo libro di Robert Harris. Il Papa è morto improvvisamente e il Decano Lawrence (Ralph Fiennes) deve guidare la riunione di tutti i cardinali per l’elezione del nuovo Pontefice. Un compito dolente e faticoso che, scrutinio dopo scrutinio, diventa quasi un incubo tra fazioni contrapposte (i conservatori della Chiesa guidati da Tedesco/Segio Castellitto, da un lato, e i liberali, più aperti alla modernità, sotto l’ala di Bellini/Stanley Tucci), rapporti segreti che rivelano scandali sessuali e corruzione, una suora (Isabella Rossellini) molto vicina al defunto Papa e un misterioso cardinale in pectore che arriva da Kabul.

Fin qui, nulla di nuovo, appunto. Nessuno, al giorno d’oggi, dubita che la Curia custodisca segreti inconfessabili e che gli uomini di Chiesa, in fondo, siano peccatori come altri. Berger, tuttavia, è capace di creare una seducente atmosfera di ombre e sussurri, ricostruendo la liturgia delle votazioni e la tradizione delle formule, in una crescente sensazione di oppressione, di sigillatura dal mondo (“cum clave”, appunto) e di mistero. Forse eccede in qualche deriva quasi sorrentiniana nella messa in scena (un po’ per le suggestioni alla “Young Pope”, un po’ nelle sequenze dell’arrivo dei cardinali e, infine, nell’andirivieni continuo di suore) ma gli interpreti (Ralph Fiennes su tutti) sono all’altezza e Isabella Rossellini, nonostante i pochi minuti in scena, è una presenza forte e inquietante. Il film ha ricevuto sei candidature ai Golden Globe. (Marco Contino)

Voto: 6

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Una notte a New York

Regia: Christy Hall

Cast: Dakota Johnson, Sean Penn

Durata: 101’

Il film "Una notte a New York"
Il film "Una notte a New York"

I taxisti sono, assieme ai barbieri, una delle categorie dipinte abitualmente come più loquaci, commentano tutto, senza troppo ascoltare il parere del loro interlocutore. Ma uno come il Clark di Sean Penn in “Una notte a New York” è ben difficile trovarlo, capace di instaurare un dialogo così serrato da giungere al limite del colloquio psicanalitico.

Una ragazza, arrivata all’aeroporto JFK di New York dall’Oklahoma, sale sul cab giallo di Clark. Tra la giovane e l'autista nasce presto un rapporto di reciproca sincerità che li porta ad affrontare argomenti a volte frivoli e a volte spinosi. Un incidente tra automobilisti nel corso del tragitto verso Manhattan concede loro ulteriore tempo per conoscersi a fondo.

Inizialmente previsto per uno spettacolo teatrale e poi portato sullo schermo dall’esordiente Christy Hall, il film, che è stato girato in sedici giorni, ha mantenuto più di qualcosa di teatrale e non solo l’impianto complessivo: le scene sul taxi sono state girate su un palcoscenico con grandi schermi led che riproducevano in digitale gli ambienti esterni.

Il film è stato fortemente voluto dalla sua interprete che ne è anche coproduttrice, Dakota Johnson, e che ha coinvolto anche Sean Penn, facendogli avere la sceneggiatura e convincendolo così a prenderne parte.

“Una notte a New York”, al di là di avere densi riferimenti cinematografici, da “Collateral” a “Locke”, è anche un omaggio ai vecchi taxi di un tempo prima che Huber o l’intelligenza artificiale li sostituisca definitivamente. Meno thrilling degli esempi citati, la sceneggiatura di “Una notte a New York” regge però bene nello scavo psicologico che l’autista compie solo guardando negli occhi la sua ospite, cogliendone le sfumature, le battute, il modo di vestire, con una regia attenta a sottolineare i particolari, nella luce azzurrina della notte newyorkese, rotta solo dai fari, che lo rende più soffuso e discreto.

Quella che è la ricchezza del film, questo addentrarsi nelle vite gli uni degli altri, costituisce anche un suo limite nel far emergere una serie di problemi che basterebbero da soli a riempire il taccuino quotidiano di un analista: mancanza della madre, assenza della figura paterna, amante di un uomo sposato che intanto le manda messaggi hard, sorella lesbica poco carina e via andare, fino all’ultimo tassello mancante. Ottimi gli interpreti, sempre inquadrati in primo piano, nel taxi. (Michele Gottardi)

Voto: 6

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