Regionali in Veneto, Stefani: «Sarò il candidato nel segno della continuità, la Lega non è ai margini»

L’intervista al candidato del centrodestra: «Zaia è un maestro, ma io resterò me stesso. Favorevole allo sblocco dei mandati per gli assessori, la competenza è dell’Aula»

Laura Berlinghieri
Alberto Stefani, candidato del centrodestra alle regionali in Veneto
Alberto Stefani, candidato del centrodestra alle regionali in Veneto

Una valutazione di Giovanni Manildo, suo sfidante alle elezioni? «Una persona garbata, con cui sono felice di confrontarmi». E «non mi sentirete mai parlare male dei miei avversari». Anche perché, dice, «buona parte dei miei amici vota a sinistra».

Il suo modello, in politica? «Cerco di non ispirarmi a nessuno, perché è giusto che ognuno rimanga e stesso».

Un pregio: «Lo spirito di servizio». E un difetto: «L’essere un perfezionista». E mettiamoci pure i sogni che coltivava da piccolino: «Diventare il sindaco del mio paese e aprire una rsa innovativa». Realizzati entrambi. E non esattamente tra i più comuni, tra i bambini.

Ma si presenta così Alberto Stefani. Con i suoi 32 anni, «che spero possano far partire una piccola rivoluzione, proprio da qui: è giusto che anche i giovani sentano la responsabilità di governo». E con la sua aria di bravo ragazzo. Con la responsabilità, ora, di rappresentare il centrodestra alle prossime elezioni in Veneto. E, salvo stravolgimenti alle urne ben difficili da pronosticare, guidare questa regione per i prossimi cinque anni.

Trentadue anni, nominato al termine di una trattativa lunga, con ogni partito che ha provato ad assicurarsi la candidatura. Il punto di caduta: presidente leghista, ma metà giunta a FdI.

Teme la marginalizzazione del suo partito?

«Di assessorati parleremo eventualmente dopo le elezioni, se sarò eletto. Con i partiti lavoreremo bene e in sinergia. Non parlerei proprio di marginalizzazione».

Ma perché c’è voluto tanto a nominarla, secondo lei?

«Perché quando una coalizione è già al governo non ha bisogno di un anno di campagna elettorale. E infatti metà del nostro programma sarà dedicata proprio al racconto di quanto fatto in questi quindici anni».

Cominciamo dal voto: quante liste comporranno la coalizione del centrodestra?

«Intanto cinque: Lega, FdI, Forza Italia, Udc e Noi moderati. Ma potrebbe aggiungersene anche un’altra, civica-autonomista».

Niente lista civica tout court, però...

«Perché le componenti civiche saranno già all’interno dei partiti».

E la lista del presidente?

«Non ci sarà».

Non ci sarà nemmeno la lista Zaia, né il suo nome nel simbolo della Lega. Per questo il presidente ha detto di prendere atto del fatto di essere un problema. È così?

«Per noi Zaia è un simbolo. Lo sarà anche in questa campagna elettorale, come continuerà a esserlo nei prossimi mesi e anni. È anche grazie a lui se la Lega sarà molto competitiva. Quanto al suo futuro, sarà solo Zaia a deciderne».

Ma è vero che è FdI ad aver posto il veto sul suo nome?

«Non commento le note giornalistiche».

Però Zaia sarà capolista della Lega...

«Scioglierà le riserve a ore. E mercoledì sera sarà con noi al Geox di Padova, per il lancio della campagna elettorale».

Teme il confronto con lui?

«Quando c’è un buon maestro, non ha senso provare a distinguersi per qualcosa. Lavorerò in continuità con la sua amministrazione, ma rimarrò me stesso, senza provare a imitarlo».

Un rammarico dell’amministrazione Zaia è il non aver ottenuto una legge sul fine vita. Lei cosa pensa?

«La competenza casomai sarà del Consiglio regionale. Dico che una legge nazionale è necessaria e che è la Chiesa stessa a interrogarsi sul tema dell’accanimento terapeutico».

E dell’immigrazione cosa pensa? Soprattutto in un Veneto che è terra di imprese e di imprenditori costretti a fare i conti con una forza lavoro difficile da reperire.

«Ben venga, se regolare e quando consente alle persone di integrarsi realmente. Un’immigrazione senza regole viene fatta sulla pelle dei migranti stessi, vittime di organizzazioni criminali, e diventa veicolo per l’insicurezza e per la criminalità».

L’addizionale Irpef regionale?

«Intanto pensiamo alla riforma del federalismo fiscale. Qualsiasi altra decisione verrà fatta dopo ed eventualmente: prima vogliamo valutare l’impatto di questa razionalizzazione della spesa».

Programma: le priorità?

«Il sociale, prima di tutto; la sanità, la rigenerazione urbana, la salvaguardia dell’ambiente».

E la salvaguardia di Venezia?

«È il nostro simbolo. In questi anni, ha sempre goduto di un occhio di riguardo e continuerà a essere così».

Le infrastrutture rimarranno alla Lega. È ipotizzabile lo sblocco dei mandati, per consentire a De Berti di mantenerne l’assessorato?

«Ero d’accordo sul terzo mandato per il presidente, lo sono anche per gli assessori. Quindi, sì, è possibile. Ma la competenza sarà del Consiglio».

A proposito di infrastrutture, ha detto di aver parlato di recente con il ministro Salvini dell’ipotesi di Cav come holding autostradale del Nordest. Progetto di lunga data, procede?

«Per noi significherebbe portare a casa l’autonomia infrastrutturale, con entrate importanti in spesa corrente e in conto capitale. Il ministero ci sta già lavorando».

A proposito di Autonomia: si farà?

«C’è un’intesa sulle prime quattro materie non Lep, che sarà approvata dal Parlamento entro l’anno. E poi, avendo sbloccato i Lep, potremo lavorare anche sulle altre materie».

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