Fugatti: «Il Nord ritorni centrale. A31 della Valdastico, c’è l’intesa»

Intervista al presidente della Provincia di Trento: «C’è l’accordo per prolungare l’autostrada. Una Lega sul modello Cdu-Csu? Ha senso se ridiventa un sindacato del territorio». E annuncia che a gennaio andrà con Stefani a Roma

Sandro Moser
Da sinistra Attilio Fontana, Luca Zaia, Maurizio Fugatti e Massimiliano Fedriga
Da sinistra Attilio Fontana, Luca Zaia, Maurizio Fugatti e Massimiliano Fedriga

Tornare a essere “il sindacato dei territori”. Valorizzare i dirigenti e gli amministratori locali. Definire candidati, liste e alleanze secondo le esigenze e le potenzialità delle regioni e delle province. Riportare al centro la “questione settentrionale”. C’è tutto questo nella lettura che il presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, fa del dibattito aperto da Luca Zaia sul futuro della Lega, delle sue ragioni d’essere, della sua organizzazione.

Presidente Fugatti, bisogna riannodare i fili con il nuovo governatore del Veneto. Qual è il primo dossier sul tavolo?

«La Valdastico Nord. Con Stefani ci siamo sentiti e abbiamo concordato che appena insediato, quindi presumibilmente in gennaio, ci presenteremo insieme al ministero per stendere l’accordo sul tracciato, quello che prevede lo sbocco a sud di Trento»

Sorpreso dalla raccolta di firme avviata dalla Lega di Brescia a favore di Luca Zaia?

«No, non sono sorpreso. Il tema del rafforzamento del nord, del rapporto con le regioni nel nord è da sempre centrale, fa parte del nostro Dna. La raccolta di firme si inserisce in un dibattito naturale per la Lega».

Zaia ha aperto un dibattito sul modello organizzativo e sulle ragioni strategiche della Lega. Ha indicato un possibile sbocco nel “modello bavarese Csu_Cdu”, ovvero leghe territoriali autonome con una segreteria nazionale un unico gruppo parlamentare. Lei cosa ne pensa?

«Ancora: è un tema che periodicamente torna nel dibattito interno della Lega. Credo che oggi abbia un senso se lo si riporta alla volontà di essere un sindacato del territorio, quello che la Lega è sempre stata. Questo è lo spirito di Zaia: non c’è la volontà di fare una corrente nel partito. Lo spirito è di continuare ad essere un sindacato del territorio. Non entro nel merito del modello organizzativo, è un tema di partito e non sarebbe appropriato discuterne in questo contesto. Ma sono convinto che questo strumento possa essere utile a dare maggior forza alla Lega».

Quando si parla di autonomia locale, per un partito, si intende sostanzialmente autonomia nello scegliere le candidature, nel formare le liste, nello stabilire le alleanze. È di questo che ha bisogno la Lega oggi?

«Autonomia vuol dire dare valore alle classi dirigenti locali, agli assessori e ai consiglieri che hanno lavorato sul territorio. In Veneto vincono Stefani e Zaia, ma se guardiamo i dati vediamo che è tutta una classe dirigente ad essere stata premiata».

La proposta di Zaia è stata interpretata come la risposta al bisogno di valorizzare il radicamento territoriale della Lega nelle regioni del Nord. È così?

«Il radicamento territoriale passa da una capacità amministrativa e dalle scelte di fondo ma anche, più semplicemente, dalla presenza fisica, direi umana, sul territorio. Questa è la vera rappresentanza, davvero apprezzata dai cittadini. Questo è il valore aggiunto. Se tu sei presente sul territorio capisci i problemi della gente, che nella maggioranza dei casi non si prestano a una lettura strettamente politica».

In questi giorni il dibattito nella Lega e tra gli osservatori sembra essersi polarizzato tra una Lega votata al governo, all’amministrazione e una Lega più ideologica, impersonata nelle sue forme più radicali da Vannacci. Qual è la sua posizione?

«Io a Pontida ho detto che la Lega è sempre stata anticomunista e antifascista. E detto da chi rappresenta una provincia autonoma, il riferimento all’antifascismo è ancora più forte. Perché il Trentino Alto Adige, con il fascismo, l’autonomia non l’aveva. Naturalmente nelle elezioni politiche o in quelle europee, i riferimenti ideologici sono inevitabili. Ma le elezioni regionali te le giochi sui marciapiedi, è un corpo a corpo con il popolo».

Dopo il voto in Veneto sono stati riaccesi i fari sulla “questione settentrionale”. Ma come definirla oggi?

«La questione settentrionale non è mai stata dimenticata. Esiste, come esiste una questione meridionale, non lo voglio negare. Ma lo dico ormai in modo romantico, perché lo ripetiamo da 40 anni: lo stipendio di un insegnante di Verona è lo stesso di quello di Cosenza, ma i prezzi delle case, i costi della vita quotidiana, non sono comparabili. Questa è la questione settentrionale oggi ed è ancora più urgente in una fase di difficoltà del sistema produttivo, dove il Pil del meridione sta crescendo di più di quello del nord. E qui insisto: se il governo sta lavorando all’autonomia differenziata è perché c’è la Lega».

Ragionando sull’autonomia territoriale si deve tornare sul problema del limite dei mandati per i governatori. Il presidente del Friuli, Fedriga, sostiene che ora esiste lo spazio per affrontare il tema in termini politici e non solo tecnico-giuridici. Lei cosa ne pensa?

«Noi abbiamo fatto una legge che contemplava il terzo mandato ma che il governo – con i voti contrari della Lega – ha voluto impugnare davanti alla Corte Costituzionale, che l’ha bocciata. Non è stato lo Spirito Santo, il centralismo romano è arrivato fino a lì. Quindi quello che si farà a Roma, con rispetto istituzionale e politico, mi interessa poco. Si può fare di tutto, si può impedire una candidatura per legge, ma alla fine decide il popolo. Questo è successo in Veneto. E dovrebbe essere un monito. Di certo so che, se Roma non capisce, quello che è successo in Veneto succederà in Lombardia, in Friuli, in Trentino».

Stesso discorso, in un certo senso, vale per lo stop alle liste civiche in appoggio a Zaia deciso in Veneto.

«Questo vuol dire che in Veneto si è vinto ma che si poteva vincere meglio. Che Stefani poteva avere una maggioranza ancora più solida. Ci sono territori in cui si può decidere di non presentare liste civiche riferite al presidente uscente, che può vincere lo stesso. Ma in altri territori come il Trentino, senza liste di questo tipo, si rischia di perdere la partita». 

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