Sparatoria al confine tra Serbia e Ungheria

Nel paesino di Horgos vicino al “muro” costruito da Budapest Tre morti e un ferito grave, tutti stranieri in una zona diventata una giungla violenta dominata dai clan dei passeur

Stefano Giantin
Militare presidia il muro anti migranti innalzato dall’Ungheria
Militare presidia il muro anti migranti innalzato dall’Ungheria

BELGRADO Tre morti e un ferito, in condizioni serie, tutti stranieri, migranti o ‘smuggler’, ma lo chiariranno le indagini. È il bilancio di una sparatoria avvenuta venerdì in territorio serbo, nei pressi del confine settentrionale con l’Ungheria, gravissimo fatto di sangue - l’ennesimo, ma anche il più grave di sempre - che conferma che l’area alla frontiera tra Serbia e Ungheria si è da tempo trasformata in una vera e propria ‘giungla’ violenta, dominata da clan di passeur stranieri, che non esitano a usare le armi per il controllo del territorio e a difesa del proprio business illegale.

Sparatoria che ha avuto luogo nei pressi del paesino di Horgos, qualche migliaio di abitanti a un tiro di schioppo dal confine e dal ‘muro’ costruito da Budapest in chiave anti-migranti nel 2015, barriera che in maniera crescente negli ultimi mesi viene comunque superata dai rifugiati in viaggio, con l’assistenza degli smuggler.

Lo scontro a fuoco, con alta probabilità tra gruppi rivali di passeur, è durato a lungo, con i residenti di Horgos che, per ore durante la notte, hanno denunciato allarmati sui social di essersi barricati nelle proprie abitazioni, ad ascoltare paralizzati il rumore degli spari. Rumore che proveniva dall’area dell’ex industria agricola ‘Backa’, uno dei tanti kombinat dell’epoca socialista finiti in rovina dopo guerre, crisi e privatizzazioni fallite.

Oggi, invece, la grande fattoria abbandonata è una dei tanti luoghi, nel nord della Serbia, dove i migranti in viaggio verso l’Europa più ricca cercano riparo e pagano a caro prezzo - anche seimila euro - l’assistenza dei trafficanti per superare la frontiera ed entrare in Ungheria.

Spesso, tuttavia, luoghi del genere o i vicini boschi si trasformano in veri e propri campi di battaglia tra gruppi antagonisti, in testa marocchini, afghani e siriani, che a intervalli regolari si affrontano armi in pugno per difendere o espandere il proprio dominio e il giro d’affari. Anche Horgos non fa eccezione, villaggio di frontiera dove ieri molte famiglie non hanno mandato i figli a scuola per paura, dopo una notte passata alla finestra a cercare di capire l’origine e la causa degli spari.

A far luce sul caso - uno dei tanti verificatisi negli ultimi mesi, con svariati feriti e morti - sarà ora la polizia serba, che ha spedito a Horgos un ingente numero di uomini, per setacciare la zona e trovare indizi che portino alla risoluzione della questione. Questione, quella di Horgos, che è seria e non circoscritta al luogo dell’incidente di ieri. Lo aveva confermato, in estate, la mega-operazione delle forze dell’ordine di Belgrado, che avevano dispiegato mille poliziotti in varie aree frontaliere in un’operazione anti-passeur, con un bilancio di tredici arresti e la confisca di una decina di fucili automatici, oltre a walkie-talkie, pistole, munizioni.

Altre simili azioni erano state messe in campo nei mesi scorsi in tutta la zona che va appunto da Horgos fino a Subotica e ancora più a est, verso Sombor, uno dei tanti segnali che indicano che il ‘muro’ magiaro è assai più poroso di quanto si pensi e che proprio da lì passa oggi la maggior parte dei migranti diretti verso la Ue, ragione dell’aumento dei rintracci anche in Slovenia, Austria e Italia. Al confine serbo-ungherese c’è «una mini-guerra in corso tra gang di migranti», il commento del governo di Budapest, che ha chiesto ieri a Bruxelles di comprendere che è ora di «difendere i confini per garantire la sicurezza dei cittadini».

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