Il bunker anti-atomico costruito da Tito a Željava diventerà centro culturale
La struttura sotterranea in passato aveva ospitato anche MiG-21. Distrutta durante la guerra degli anni ’90 ora è più vicina al riuso

ZAGABRIA Creata per resistere a tutto, compreso un attacco nucleare, la base aerea sotterranea di Željava, località a est del Parco naturale dei laghi di Plitvice in Croazia, “morì” insieme alla Jugoslavia. E qualche decennio dopo, i suoi corridoi fuligginosi sono un campo in cui si avventurano non pochi coraggiosi e curiosi turisti. È l’ennesimo rifugio di Tito in caso di attacco del Paese.
Nella sua epoca d’oro, questa base poteva ospitare dozzine di MiG-21 di fabbricazione sovietica in tunnel lunghi un chilometro. Disponeva in ogni momento di riserve sufficienti di acqua, aria ed elettricità, protette da quattro porte di cemento del peso di 100 tonnellate. Intorno si estendevano cinque piste per i caccia.
«Era una grande realizzazione», ricorda al quotidiano di Zagabria Jutarnji List un ex pilota che lavorò in quella base militare per quasi dieci anni negli anni '80. «Era equipaggiata con la migliore tecnologia militare e civile». Quando la Jugoslavia scomparve nella guerra all’inizio degli anni Novanta, la base militare fu distrutta. «Tutto fu bruciato», racconta il pilota, «rimasero solo i tunnel e i muri».
Negli anni successivi la base fu dimenticata, attirando solo pochi turisti alla ricerca del patrimonio jugoslavo. E poi, nel 2016, un film ha cambiato tutto. La base militare di Željava è stata utilizzata per le riprese del film "Houston, We Have a Problem!", del regista sloveno Žiga Virac, ed è diventato famoso (di nuovo).
Da allora si stima che 150 mila turisti visitino i suoi corridoi bui, le stanze enormi e le attrezzature corrose dalla ruggine. Le autorità locali stanno facendo sforzi per attirare almeno una parte delle centinaia di migliaia di turisti che affollano il vicino Parco Nazionale dei laghi di Plitvice con un buon marketing. A Željava si svolgono già le gare automobilistiche e pensano che sarebbe il luogo perfetto per organizzare dei festival o anche per un museo della Guerra Fredda.
Fino a quando ciò non accade, i turisti con una torcia in mano vagano per i corridoi umidi, facendo attenzione a dove mettere i piedi. «È un miracolo dell'ingegneria ed è pazzesco che sia fermo nel tempo», afferma con entusiasmo il fotografo zagabrese Angelo Virag . Un suo parente di Perth, in Australia, ammira quella «infrastruttura selvaggia, autentica, incontaminata da 30 anni». Hamdija Mesić, della vicina Bihać, è affezionato a quell'enorme edificio, «lasciato in balia del tempo. Non c'è niente di simile da nessun'altra parte».
Appassionato di aerei, spera che questo posto ritorni in vita come pista di atterraggio e il suo sogno è vedere lì un aeroporto per piloti dilettanti.
Rinnovare o meno è una questione di divisione tra i turisti. «Mi piace così com'è perché non ci sono cartelli ovunque che dicono dove andare e cosa vedere», spiega Maria Moreno, interior designer spagnola, 33 anni, aggiungendo che questo posto «perderebbe il suo fascino se diventasse un'attrazione turistica».
Dunque la questione rimane aperta. Ristrutturare e creare qualcosa di nuovo o lasciare le cose come stanno per dare un “brivido” ai turisti che scoprono da soli i chilometri di cunicoli con stanze che servivano al comando supremo e soprattutto a Tito di rifugiarsi da un attacco nemico, occidentale ma anche sovietico vista la sua “rottura” con il Cominform di Mosca? Difficile rispondere ma almeno un libro esplicativo sarebbe indispensabile per capire quello che si sta vedendo. —
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