Una rivoluzione per i porti italiani: così la riforma cambia il peso delle Autorità
Lo scalo di Rotterdam movimenta 450 milioni di tonnellate: Trieste, Venezia e tutte le altre messe insieme arrivano a 500. Ecco perché devono “fare sistema”

Quando si parla di traffici marittimi, si parla di oceani e non ci sono confini, sono i numeri a comandare: Rotterdam, il re dei porti Europei, movimenta in un anno 450 milioni di tonnellate di merci e circa 14 milioni di container: e grazie ai suoi ricavi, investe miliardi in sostenibilità e infrastrutture. I nostri porti si collocano su una carta nautica in scala minore, ma messi insieme nel 2025 hanno mosso circa 500 milioni di tonnellate di merci, quasi il 40 per cento dell’export italiano.
Se facessero sistema, potrebbero moltiplicare anche loro gli investimenti per “stare sul pezzo” con i giganti della logistica cinesi, arabi e olandesi. Trieste è la nave ammiraglia degli scali intorno allo stivale, svetta sul ranking dei porti italiani, con 60 milioni di tonnellate di merci, Genova e Livorno seguono a ruota; Venezia ha movimentato 24 milioni di tonnellate nel 2024, crescendo del 3, 5%.
Ma il sistema portuale italiano è frammentato in 16 Autorità territoriali che scontano un’assenza di coordinamento: una supervisione centrale sarebbe opportuna, a condizione che non produca più burocrazia e che siano chiare le deleghe operative e territoriali.
Ora, in questo quadro il governo mette in campo una riforma dei porti che ribalta quella del 1994, che sarà approvata lunedì in Consiglio dei ministri. Il progetto legislativo che verrà mandato alle Camere “risponde alla necessità di superare l’attuale frammentazione gestionale, che vede i porti italiani in difficoltà rispetto ai grandi hub del Nord Europa e del Mediterraneo”, dice la relazione di accompagnamento alla legge. “L’obiettivo è configurare una rete portuale nazionale capace di agire con una visione strategica unitaria, potenziando l’intermodalità e il raccordo con le reti di trasporto europee”.
La novità principale è la creazione di “Porti d’Italia Spa”, una nuova società pubblica cui sarà affidato il compito primario di realizzare i grandi investimenti infrastrutturali strategici.
Il ruolo delle Autorità
“Le 16 Autorità di Sistema Portuale (AdSP) – chiarisce il governo per tacitare le obiezioni – non vengono soppresse, ma le loro funzioni vengono ridefinite. Esse manterranno un ruolo fondamentale nella gestione territoriale, conservando la competenza sulla manutenzione ordinaria, sul rilascio delle concessioni per terminal e servizi, e sugli investimenti non strategici”.
Le polemiche della vigilia
Infatti, prima ancora di vedere la luce lunedì in consiglio dei ministri, la riforma targata Edoardo Rixi, viceministro ai Trasporti, ha già suscitato polemiche. Un aspetto certo fa sorridere: che sia il partito federalista per antonomasia, ovvero la Lega, a promuovere una riforma centralista, mirata a consegnare al potere centrale tutti i poteri di coordinamento.
Ma a destare maggiori dubbi nelle categorie, è proprio la creazione di Porti d’Italia, già battezzata la “Super-authority”. Una stazione orbitante nella sfera del ministero dell’Economia, da cui è posseduta, con una longa manus di Palazzo Chigi, che insieme al Mef esprimerà tre dei cinque membri del cda, mentre altri due faranno capo ai piani alti del Mit, il ministero dei Trasporti.
Un super hub dunque, da cui far decollare progetti e finanziamenti strategici, ma che rischia di svuotare i poteri di Adsp, l’Autorità di sistema portuale: la Cgil è già di traverso, denuncia l’assenza di misure per la sicurezza del lavoro, incertezze sui profili contrattuali e via dicendo. Il rischio è che si inneschino conflitti di competenze stato-regioni e non mancano seri dubbi sulla copertura finanziaria della riforma, finita sotto i riflettori dei ragionieri dello Stato.
Tanti vantaggi sulla carta
Ma l’idea ha piedi e gambe per camminare, pur se “lento pede”, visto lo strumento prescelto del disegno di legge: un coordinamento degli investimenti, politiche logistiche, progetti unitari, per migliorare la competitività dei porti italiani a livello internazionale. Più chances quindi di ammodernare il sistema e farlo stare al passo rispetto a fattori chiave come tecnologie, pianificazione, robotica e logistica.
Il problema di coniugare il coordinamento centrale con l’autonomia territoriale delle 16 autorità portuali preoccupa gli operatori, che da settimane dibattono attraverso i media di settore: come Port-News, il Magazine dell’autorità portuale del Tirreno settentrionale, che fa capo al porto di Genova, secondo porto italiano per interscambi.
In un focus di fine novembre il sito online svolge un’analisi critica del progetto, partendo però dall’assunto che “la riforma risponde all’esigenza, avvertita da tutto il cluster portuale, di un coordinamento nazionale e di una unificazione delle prassi amministrative tra le varie AdSP”. ShipMagazine teme che Porti d’Italia finirà “per esautorare le autorità portuali delle loro funzioni fondamentali di governo, pianificazione e gestione operativa”.
Toccherà quindi al governo fugare i vari timori, placando gli animi in un contesto difficile come il Parlamento e avendo davanti una manciata di mesi prima della fine della legislatura.
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