Giovani italiani all’estero, l’intervista a Nicolò Doglioni: «Fuori dall’Italia c’è più meritocrazia»
Nicolò Doglioni, 25 anni, padovano di nascita, racconta la sua esperienza di lavoro in Germania come Senior Investment Analyst. All’estero, meritocrazia, ruolo e responsabilità contano più dell’età

Germania, Paesi Bassi e di nuovo Germania. Precisamente Amburgo, dov’è Senior Investment Analyst per una grande azienda nel settore finanza, ramo energie rinnovabili. Nicolò Doglioni non ha mai pensato di tornare in Italia. Venticinque anni, padovano di nascita, cresciuto a Venezia e con un curriculum zeppo di lodi e studi internazionali, va dritto al punto: «In sede di colloquio, all’estero non mi è mai stato chiesto quanti anni avessi», racconta.
E questo, Nicolò, cosa ti fa capire del mondo del lavoro nel tuo Belpaese?
«Non voglio generalizzare, ma se penso alla mia esperienza mi rendo conto che, a casa, età e qualità della vita siano due discriminanti assolutamente non competitive rispetto ad altre parti d’Europa. E questi due fattori mi hanno sempre proiettato a cercare posizioni oltre i confini nazionali. Il mercato del lavoro cambia radicalmente: in Italia ci sono tanti laureati in proporzione ai posti disponibili quindi la competizione è minore, la situazione è più stagnante e, per salire di grado, il percorso è a rilento. Con l’asso della lingua inglese, fuori, invece, ti si apre un mondo».
L’enciclopedia “Treccani” definisce expat chi si stabilisce temporaneamente o definitivamente all’estero per motivi professionali. Ti ci senti, tuo malgrado?
«Lo sono, ma direi piuttosto con soddisfazione. Ho quello che probabilmente nel mio Paese, almeno per quanto percepisca da amici coetanei non espatriati, riuscirei a raggiungere in molto più tempo se pure a parità di competenze. Mi è capitato dopo l’università di essere stato contattato da realtà italiane ma non ho trovato le offerte, per ragioni di nuovo legate all’anagrafe e all’anzianità richieste, comparabili a quelle rintracciate in Germania».
Ma è una questione di stipendio o di ambizione ripagata?
«Sono le responsabilità e il ruolo che ti vengono, o non vengono, riconosciuti. Per fare un esempio, nell’azienda per cui lavoro ho ricevuto una promozione in poco più di un anno. E nonostante la mia giovane età, oggi ho un collaboratore sottoposto. Ma più che questo, parlo del peso che l’azienda riconosce al mio contributo. Non mi sento mai giudicato per i miei anni. Alla bontà, o meno, delle mie affermazioni e del mio operato corrisponde una progressione».
Quando si parla di gavetta, trovi che tutto il mondo sia paese?
«Per quanto abbia potuto vedere sì, com’è giusto che sia. Riconosco che per gestire transazioni tra progetti sia fondamentale avere in testa un archivio che solo uno storico di casi analizzati può darti, ma vedo altrettanto che dei giovani venga valorizzata la creatività. Per dire, non incontro remore nel produrre documenti chiave nei processi decisionali dei miei superiori».
Reputi di lavorare in un contesto giovane e mobile?
«Sì, e vedo l’avanzamento più lineare e indipendente dalla data di nascita di quanto non mi dicano accadere, nella maggior parte dei casi, dei conoscenti rimasti in Italia».
Come rispondi a chi ritiene che la tua generazione sia svogliata, seduta e pretenziosa?
«Che oltre al carattere del singolo, un ambiente più meritocratico fa molta differenza. Personalmente avverto come stimolante la cornice in cui vivo. Non fatico a cogliere opportunità di crescita reali, sforzi ripagati. Con questo spirito sto studiando il tedesco, per rendere e non prendere solamente. E questo vale per tutta la comunità di italiani che ho conosciuto ad Amburgo».
Da dove arriva questa scuola di pensiero?
«Dall’approccio al lavoro sperimentato all’estero fin dall’università. Dopo la maturità scientifica e la laurea in economia e commercio in inglese a Ca’ Foscari, a Venezia, ho conseguito un master in finanza a Rotterdam e in mezzo un Erasmus a Cracovia e un programma di scambio in Svizzera. A 25 anni sono felice di poter già iniziare a risparmiare senza dipender più dai miei genitori, di poter pensare in grande e di pianificare in modo autonomo il mio futuro». —
Riproduzione riservata © il Nord Est