Alta velocità europea e ritardi italiani: così il Nordest sta perdendo il treno

L’ambizioso progetto della Commissione punta a collegare meglio le capitali per via ferroviaria. Ma la linea crescerà solo lungo direttrici già ben avviate: da Verona in poi, nulla verso Lubiana e Vienna

Paolo CostaPaolo Costa
I cantieri dell’alta velocità tra Brescia e Verona
I cantieri dell’alta velocità tra Brescia e Verona

La Commissione europea ha lanciato il 5 novembre scorso un ambizioso piano per collegare tutte le capitali dell’Unione con treni ad alta velocità. «Collegare l’Europa con l’alta velocità ferroviaria» come spiega la comunicazione della Commissione, è un progetto che, come sottolineato dal rapporto Letta, dovrebbe rafforzare il mercato interno europeo trasformando l’alta velocità da strumento nazionale a infrastruttura continentale.

Il progetto nasce - per prescrizione del regolamento Ue del 2024 di «Orientamenti per lo sviluppo della rete transeuropea di trasporto» - con finalità prima di tutto ambientali: dare alternativa modale ferroviaria al trasporto stradale e a quello aereo sulle medie distanze. Ma può diventare molto di più: lo strumento di incremento della competitività dell’intera economia europea perché capace di aumentare l’efficienza produttiva delle sue grandi città: obiettivo intermedio decisivo nell’era dell’economia della conoscenza.

Clamorosa l’occasione persa nei decenni passati con la frenata sul Corridoio Quinto

Una economia, quella di domani, fatta di poca manifattura avanzata, ibridata digitalmente, e di molti servizi digitali la cui domanda (assieme a quella di servizi alla persona e di svago, come il turismo) andrà crescendo. Un’economia che, almeno nella sua fase iniziale, si svilupperà dentro grandi ecosistemi urbani, tanto più di scala elevata tanto meglio. La partita si giocherà principalmente dentro le singole grandi città, monocentriche come Milano, o policentriche, come il Quadrilatero centro-veneto Padova-Castelfranco Veneto-Treviso-Venezia.

Ma una partita nella quale la facilità di connessione tra grandi città dello stesso rango, o verso centri di rango superiore, può decidere delle competitività relativa delle diverse città. Se è possibile vivere a Brescia e lavorare a Milano, vivere a Reggio Emilia e lavorare a Bologna (ma ancora a Milano), a Bologna lavorando a Firenze o viceversa, a Napoli lavorando a Roma o all’inverso, è evidente che si amplia la gamma dell’opportunità di impiego innovativo per i giovani talenti e, nel contempo, diminuisce la pressione immobiliare sulle grandi città (oggi la principale fonte di diseconomie di agglomerazione).

Per contro, per le imprese poter pescare in un bacino di lavoro che anche l’alta velocità fa allargare aumenta la possibilità di trovare le competenze rare che andrà cercando (la principale fonte di economie di agglomerazione dei prossimi anni).

Questo quadro promettente rischia però di non realizzarsi in tutta Europa nella stessa maniera. Le capitali si congiungeranno più facilmente laddove le infrastrutture da alta velocità si sono già in gran parte realizzate: è la legge della path dependence, della dipendenza cumulativa da “fatti compiuti”. E qui casca l’asino per l’Italia che, come mostra la prima mappa (vedi la figura qui sotto) del progetto, vedrà Roma collegarsi con Parigi e Berlino, ma non vedrà Milano collegarsi con Madrid e Lisbona a Ovest e Zagabria e Budapest a Est.

I ritardi accumulati nella realizzazione delle tratte ad alta velocità lungo il cosiddetto Corridoio mediterraneo creeranno ostacoli cumulativi nella competizione per l’ubicazione delle nuove attività ad alta intensità di conoscenza. La storia insegna che nelle infrastrutture di rete conta il “fatto compiuto”, che influisce sempre sullo svolgersi del processo. Se l’alta velocità Milano-Venezia fosse stata completata negli anni Novanta, oggi la prosecuzione verso Trieste, Lubiana e Budapest sarebbe apparsa come la naturale evoluzione del sistema. Invece, il ritardo ha creato un circolo vizioso: senza alta velocità, poco traffico; senza traffico, nessuna giustificazione economica per investire; senza investimenti, marginalizzazione crescente.

Per restare al nostro Nord Est, è evidente che paghiamo lo scarso impegno profuso tanto a livello statale, quanto a livello regionale e locale nel completare tempestivamente quelle infrastrutture ad alta velocità che pur alla fine degli anni Ottanta erano partite bene, con la realizzazione della tratta Mestre-Padova. Il processo realizzativo, ripreso più tardi a partire da Milano, ha esaltato la forza attrattiva di quella città giunta oggi fino a Verona.

Alta velocità che, se fra un po’ arriverà a Verona, si scontrerà poi con le conseguenze dei dubbi decennali coltivati a Vicenza e con l’impreparazione dell’arrivo a Padova. Ma questo, purtroppo, è ancora niente rispetto alla sola velocizzazione della tratta Venezia-Trieste e, soprattutto - contributo negativo della miopia della Slovenia - rispetto al buco nero dell’attraversamento ferroviario del confine italo-sloveno. Un drammatico missing link perché, come ricorda la comunicazione della Commissione, «l’infrastruttura di trasporto funziona come una rete dove un piccolo segmento non conforme o non operativo, può ostacolare l’efficienza e la competitività del sistema nel suo complesso».

Risulta miope l’attuale scommessa politica per mettere le mani sui pedaggi autostradali

Inutile dar spazio ai rimpianti, ricordando che la direttrice Lisbona-Kiev era stata individuata (promotore l’allora ministro Gianni De Michelis) come strategica fin dalla caduta del muro di Berlino, che l’Italia aveva lanciato fin da allora l’Iniziativa quadrangolare (Italia, Austria Jugoslavia e Ungheria) per integrare i mercati dell’Est europeo, che nel 1994 l’Unece (Commissione economica per l’Europa dell’Onu) aveva indicato come prioritario il Corridoio Quinto (Venezia-Kiev), che Veneto e Friuli Venezia Giulia si erano lanciati nell’iniziativa Alpe Adria (promotore il presidente del Veneto, Carlo Bernini), poi integrata verso Ovest nella Direttrice ferroviaria europea Traspadana (promotore l’allora presidente del Fvg Riccardo Illy).

È utile invece chiedersi - per non perseverare in errori dannosi - se nell’accumularsi dei ritardi seguiti a queste iniziative non abbia contribuito più recentemente il miraggio autostradale inseguito a Nord Est. Se il sogno di mettere le mani - Anas e legislazione europea permettendo - sul gruzzolo dei pedaggi autostradali, da spendere rigorosamente solo in altre strade, non abbia fatto perdere di vista il fatto che senza ferrovie capaci di combinare traffici ad alta velocità (persone) e ad alta capacità (merci) nel seguire lo spostamento a Est del baricentro dell’economia europea sarebbe divenuto sempre più difficile competere sui mercati della nuova Europa (fino a quella nuovissima della Moldavia e dell’Ucraina) e dei Balcani occidentali. Inutile piangere sugli errori commessi.

Purché ci si renda oggi conto che occorre fare ogni sforzo per recuperare i ritardi perduti. Ogni sforzo che deve vedere le comunità locali convincersi che solo così si agganciano vere prospettive di sviluppo, e le Regioni che solo così possono garantire alle loro comunità l’autonomia: quella di determinare il proprio futuro. 

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