L’efficienza, vera sfida dell’Autonomia: così la Corte ridisegna la legge

Se il testo firmato dal ministro Calderoli verrà infine applicato, non potrà però prescindere dall’«interpretazione adeguatrice» agli stringenti principi originari tratteggiati dalla Consulta

Paolo CostaPaolo Costa
Montecitorio, manifestazione contro il Ddl Calderoli sull'autonomia differenziata
Montecitorio, manifestazione contro il Ddl Calderoli sull'autonomia differenziata

Se, come afferma la presidente Meloni, il 2025 sarà l’anno delle riforme sostenute dal patto di maggioranza - il premierato caro a FdI, la riforma della giustizia cara a FI e l’autonomia differenziata cara alla Lega - anche quest’ultima potrebbe trovare qualche forma di applicazione, che dovrà però tener conto della «interpretazione adeguatrice» ai «principi ispiratori originari» operata dalla sentenza 192 della Corte costituzionale del 14 novembre scorso.

Se l’autonomia differenziata, sotto forma di legge Calderoli “corretta” dalla Consulta, vedrà la luce, questo dipenderà, d’ora in avanti, solo dalla politique politicienne. A cominciare dall’atteggiamento che FI e FdI prenderanno in occasione del referendum abrogativo, se si terrà, della legge Calderoli (FI e FdI consiglieranno davvero, come la Lega, di «andare al mare» nel giorno del voto?).

Ma, quand’anche la legge Calderoli superasse l’ostacolo referendum ed eventuali altre trappole parlamentari, nemiche e amiche, le singole leggi di applicazione a questa o quella regione della propria differenziazione autonomistica andranno sottoposte al giudizio del Parlamento, che potrà intervenire nel merito, e all’eventuale ulteriore vaglio della Corte costituzionale.

Sarà in queste sedi definitive che diventerà evidente la portata rivoluzionaria dell’«interpretazione adeguatrice» della Corte costituzionale, non solo della norma sull’autonomia differenziata introdotta con la riforma del titolo V del 2001, ma anche dei principi dell’intero impianto autonomistico originario.

La lettera dell’articolo 116 ter sul regionalismo differenziato - sentenzia la Corte - non consente più la miglior applicazione del principio di sussidiarietà (verticale), così come l’esercizio delle “funzioni” - le parti delle materie teoricamente devolubili secondo il 116 ter - non sono più sempre meglio erogabili dal livello di governo fisicamente più vicino ai cittadini. In entrambi i casi è l’evoluzione dei contesti – la «cosmopolitizzazione degli spazi d’azione», alla Beck, per l’esercizio della sussidiarietà, e la rivoluzione digitale, per l’applicazione efficiente delle “funzioni” - che impone di adeguare almeno l’interpretazione dei principi ispiratori originari delle norme costituzionali.

È il caso del principio di sussidiarietà. Scrive la Corte: «Tale principio esclude un modello astratto di attribuzione delle funzioni... la preferenza va al livello più prossimo ai cittadini e alle loro formazioni sociali, ma il principio può̀ spingere anche verso il livello più alto di governo... la sussidiarietà̀ funziona, per così dire, come un ascensore, perché́ può̀ portare ad allocare la funzione, a seconda delle specifiche circostanze, ora verso il basso ora verso l’alto». E questo “alto” sta diventando sempre più spesso sovrastatale, soprattutto “eurounionale” (aggettivo orribile).

Se riscrivessimo oggi l’elenco delle materie per le quali concedere alle regioni «ulteriori e particolari forme di autonomia» difficilmente confermeremmo - è sempre il parere della Corte costituzionale - materie come il “commercio con l’estero”, la “tutela dell’ambiente”, la “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, i “porti e aeroporti civili” e le “grandi reti di trasporto e di navigazione”, le “professioni”, l’“ordinamento delle comunicazioni”, per non parlare delle “norme generali sull’istruzione”.

Le mitiche 23 materie agognate dalla grande differenziazione verrebbero senz’altro ridotte a non più di 17. Ma, ristretto il campo delle materie, la Corte immagina anche che si debba ulteriormente stringere le maglie del setaccio nell’accettare la regionalizzazione differenziata delle “funzioni” devolvibili.

Starà alla Regione dimostrare che l’attribuzione di quella funzione a quel livello di governo regionale presenta, rispetto a quello statale, vantaggi «in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità», anche mostrando la capacità di ridurre i trade-off tra i tre profili. Ed è qui che la rivoluzione digitale in atto può mettere in crisi l’assioma della preferibilità del livello di governo fisicamente più prossimo ai cittadini.

Quando, come sempre più spesso accade già oggi, il servizio erogato ai cittadini passa dal “gemello digitale dell’ente” erogatore della funzione al “gemello digitale del cittadino” destinatario, la prossimità fisica perde di valore, mentre efficacia ed efficienza possono beneficiare delle economie di scala garantite dalla erogazione al livello più elevato di servizi.

La gestione della pandemia da Covid 19 ha mostrato esempi concreti del differenziale di efficacia/efficienza tra le scale di governo: dall’acquisto centralizzato a livello europeo dei vaccini alla gestione nazionale dei green pass, e così via. Restano sicuramente ampie aree di servizi alla persona che si avvantaggiano della prossimità, ma sono preponderanti le aree nelle quali digitalizzazione e intelligenza artificiale renderanno evidenti i trade-off tra efficienza/efficacia, da un lato, e responsabilità (dell’efficienza e dell’equità), dall’altro.

Temi delicati, dalle mille implicazioni, che per ora ci dicono solo che la ricerca del miglior assetto dei poteri, dall’europeo al locale, non è affare che si possa ricondurre a «ad una logica di potere con cui risolvere i conflitti tra diversi soggetti politici, né dipendere da valutazioni meramente politiche». Temi da affrontare con molto senso del bene comune e molta intelligenza, non solo artificiale. —

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