In Ucraina non una pace a ogni costo

Non c’è contraddizione tra continuare ad aiutare militarmente gli ucraini e aspirare a una pace «giusta e duratura»

Vincenzo MilanesiVincenzo Milanesi
Donald Trump e Volodymyr Zelensky faccia a faccia a San Pietro
Donald Trump e Volodymyr Zelensky faccia a faccia a San Pietro

Le immagini delle città della martoriata Ucraina, che continuano a essere bombardate dai russi, con tanti civili uccisi, uomini, donne, bambini, interrogano la coscienza morale di tutti noi. È più eticamente giusta una pace a qualunque costo, anche imposta con la forza da chi ha il potere di farlo, oppure la morte di cittadini innocenti e indifesi che resistono all’aggressore in nome della libertà?

È un dilemma morale non da poco, antico, ma oggi drammaticamente attuale nella nostra Europa. Tutti gli «uomini di buona volontà», o almeno quelli che lo sono davvero, senza ipocrisie, vorrebbero la pace in quella parete orientale dell’Europa che Vladimir Vladimirovič continua a considerare parte del Russkij Mir, e quindi ritiene di avere il diritto di annetterselo con la forza delle armi.

Ma la pace per gli ucraini non potrà però essere una “pace di Brenno”. Brenno era il capo dei Galli che nel 390 avanti Cristo conquistarono Roma. Quando stavano pesando l’oro che i Romani dovevano dare in pagamento ai vincitori come loro bottino di guerra, un senatore romano si accorse che la bilancia era stata truccata dai Galli a loro vantaggio, e non se ne stette zitto: Brenno allora gettò la sua spada sul piatto della bilancia, per aumentarne ancora di più il peso e avere ancora più oro, gridando: «Vae victis!», «Guai ai vinti»: che non hanno nessun diritto di opporsi ai soprusi dei vincitori.

Donald Trump traduce, a modo suo, il grido del capo dei Galli urlando a Volodimir Zelenski «non hai le carte, sei uno sconfitto, sei un perdente», e - invece di gettare una spada pesante sulla bilancia - lo ricatta minacciando di lasciare del tutto sguarnita la difesa militare ucraina, mettendo di fatto il Paese in ginocchio e alla mercé dell’invasore. È tutta qui la sua Art of the Deal, cioè quell’arte della trattativa di cui The Donald si considera maestro? Forse siamo di fronte a una svolta?

Quel che abbiamo visto sul sagrato di San Pietro ai funerali di Papa Francesco tra Trump e Zelensky sembra davvero avere del miracoloso. Ma basterà? Ora più che mai l’obiettivo per gli “uomini di buona volontà” deve essere lavorare per una pace onorevole che faccia finalmente finire questa maledetta guerra senza umiliare il popolo ucraino. Doveva essere una “guerra-lampo”. Son passati ormai più di tre anni: perché i russi si sono trovati davanti un popolo che ha deciso di resistere all’invasore.

L’Ucraina dovrà poter rimanere un Paese libero, all’interno dell’Unione europea e saldamente ancorato all’Occidente, se i suoi cittadini lo vorranno, riducendo la perdita di territori, in parte probabilmente inevitabile. Ma l’Ucraina dovrà poter continuare, grazie alle armi occidentali, e all’aiuto americano, a opporre all’esercito russo una resistenza capace di “consigliare” allo zar di trattare.

Trattare, non imporre la pace alle sue condizioni, che sarebbe una resa per il popolo ucraino. Purtroppo è illusorio pensare che possa esserci una sorta di equilibrio, almeno tendenziale, delle forze in campo. Il duello tra Davide-Ucraina e Golia-Russia non finirà come nella Bibbia. Ma non per questo Davide può essere abbandonato al suo destino. Perché ne va anche del nostro, non dimentichiamolo.

Proprio per questo non c’è contraddizione tra continuare ad aiutare militarmente gli ucraini e aspirare a una pace «giusta e duratura». Ed è dovere morale di tutti quegli “uomini di buona volontà” adoperarsi per questo fine, contrastando un’opinione pubblica “pacifista”, come in Italia, ma spesso più “paciosa” che davvero amante della pace, quella vera, impossibile senza che siano rispettate la domanda di giustizia e l’anelito alla libertà. —

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