Sport system Treviso, persi 500 milioni. In provincia 7 mila addetti a rischio

TREVISO. La chiusura degli impianti mette in ginocchio il distretto dello sport system trevigiano, uno dei fiori all’occhiello dell’economia della Marca con brand quali Tecnica, Rossignol, dalbello, Marker, Fischer, Atomic. Una galassia concentrata soprattutto nell’Asolano che vale 2,2 miliardi di fatturato l’anno ma che nel 2021 potrebbe perdere un quinto degli incassi, con una perdita netta di oltre 500 milioni di euro. Alla sua guida Patrizio Bof, presidente dell’Associazione dello Sport system.
Partiamo dai numeri: quanto costerà, alle nostre imprese, la chiusura degli impianti di risalita e delle piste da sci?
«Le aziende più virtuose hanno dichiarato una diminuzione del fatturato di una decina di punti, quelle iper specializzate possono arrivare al 50 per cento in meno. A livello di distretto direi che il calo sarà intorno al 20-25 per cento su un fatturato complessivo di circa 2,2 miliardi di euro».
C’è tempo per recuperare?
«Il grosso degli affari era concentrato nella settimana del martedì grasso, con le scuole chiuse. Una stagione che quest’anno si aprirà a fine febbraio nella migliore delle ipotesi, con la previsione che duri poco tempo, significa una stagione persa. In tanti rimanderanno gli acquisti al prossimo anno».
E i Mondiali di Sci a Cortina? Non porteranno un incremento delle vendite?
«No, di solito davano un grande slancio innovativo perché era il momento giusto in cui presentare le campionature o le novità, ma senza pubblico anche questa attività sarà azzerata».
È presto per parlare di ricadute occupazionali nelle aziende del distretto?
«Sì, possiamo vedere però che la cassa integrazione in questo momento è feroce. Lo sport invernale inoltre lavora con un anno di anticipo, adesso si dovrebbero raccogliere gli ordini per l’inverno 2021/2022 ma è tutto fermo, e temo che questa crisi avrà una coda lunga. È un distretto che solo nel Trevigiano dà lavoro a 7 mila famiglie, la preoccupazione c’è».
Esistono ristori per il vostro settore?
«No, sono previsti solo per i negozianti, non per imprese che hanno consegnato la merce. Il problema è che in molti casi queste imprese non sono state pagate, o sono state pagate in ritardo. Si creerà un effetto domino negativo. Come agiranno le banche? Concederanno ancora credito alle condizioni di prima?».
Una possibile soluzione?
«Differenziare. Ci sono molte aziende che negli ultimi anni hanno allargato la produzione, investendo nell’area outdoor e nell’alpinismo. In molti si sono reinventati, offrendo non solo prodotti per la neve e per lo sci, ma anche per le escursioni in montagna e il trekking, visto che nella stagione estiva le cose dovrebbero sistemarsi e c’è stata una riscoperta della montagna negli ultimi anni. Un altro vantaggio è che molte aziende che avevano produzioni in Cina hanno iniziato a riportarle in Europa. Questo potrebbe essere un vantaggio: produzioni vicine di maggior valore».
Avete contestato il provvedimento anche da un punto di vista sanitario. Non ci si contagia sulle piste da sci?
«Non è diverso dalle code che si fanno da altre parti. Tutti gli attori hanno dimostrato grande disponibilità nel migliorare la questione sicurezza, riducendo la portanza delle cabinovie e mettendo dei limiti ai punti d’incontro e alla capienza dei rifugi. E in pista, così bardati, ritengo sia molto difficile contagiarsi. Il fatto è che lo sci è stato eliminato dalle attività possibili perché considerato un’attività superflua. Ma come ho detto, attorno a questa attività opera un distretto con migliaia di famiglie». —
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