Prezzo del caffè sotto pressione per la speculazione e l’effetto clima

Il neo vicepresidente della Federazione europea del caffè:
«Sulle Borse merci quotazioni sulle montagne russe»

Franco Vergnano

I capricci del clima, innescati dal cosiddetto “global warming”, e la speculazione internazionale preoccupano gli operatori del caffè, un settore che però continua a dare grandi soddisfazioni a Trieste.

Parliamo della situazione con Massimiliano Fabian, presidente e amministratore delegato della Demus di Trieste, l’azienda fondata dal nonno e leader nel mercato della decaffeinizzazione, cioè la “deceratura” dei chicchi verdi per ottenere la produzione di caffeina naturale. L’imprenditore giuliano è anche docente al Master “Ernesto Illy” in Scienza ed economia del caffè.

Inoltre, dallo scorso maggio, Fabian è stato nominato vicepresidente di Ecf (European coffee federation), la Federazione europea del caffè. Secondo le rilevazioni internazionali, la quotazione dell’Arabica è salita dal 2021 del 75%, con un più 60% nel solo 2023. Poi c’è stata l’impennata del Robusta i cui prezzi sono cresciuti del 200% dal valore medio storico, spinti anche dall’impennata della domanda di consumatori nuovi come i cinesi. E infine c’è l’effetto dollaro, che si è apprezzato del 10%.

Fabian, il cosiddetto caffè verde è una "commodity", quotata nelle Borse merci internazionali (ad esempio Londra e New York). Si pensava che il 2024 avrebbe portato stabilità. Non sembra sia così. Alcune aziende leader hanno dichiarato di poter assorbire questi aumenti, sacrificando i margini. Ma che clima si respira complessivamente nel settore?

«È un periodo difficile per le materie prime alimentari, ad esempio anche per il cacao. Gli scossoni delle Borse merci hanno prodotto un effetto montagne russe dei listini, con marcata volatilità e tendenza al rialzo».

In questo contesto, secondo lei, incide di più il clima o la speculazione?

«Entrambi i fattori hanno il loro peso ma devo dire che, dai grafici dei listini, appare evidente come sui mercati ci sia una fortissima speculazione».

Che impatto ha avuto il blocco di Suez a opera degli Houthi?

«Sul breve periodo molto forte, sia per i prezzi sia per i ritardi nelle consegne. Poi, dal punto di vista puramente logistico, la situazione si è un po’ regolarizzata».

Come stanno andando gli stock? È vero che c’è un forte decremento?

«Purtroppo noi conosciamo solo quelli dei mercati di consumo e non quelli dei Paesi produttori. In effetti le statistiche internazionali elaborate dalle nostre associazioni ci dicono che la tendenza è verso l’assottigliamento dei magazzini. E anche questo, ancora una volta, favorisce la volatilità e la speculazione».

In questo scenario risultano avvantaggiati quei torrefattori che, nel tempo, hanno saputo costruirsi contratti di fornitura a lungo termine?

«In un certo senso sì. Specialmente sul versante delle verifiche di sostenibilità».

Quali sono le previsioni del mercato del caffè per il prossimo futuro, ammesso che se ne possano fare di ragionevoli?

«Le posso dire che la domanda mondiale di caffè è in crescita, anche se non omogenea in tutte le aree. Ad esempio lievitano i consumi in Asia e Stati Uniti, mentre calano in Nord Europa. Certo che, in prospettiva, dovremo sempre più fare i conti con il riscaldamento globale che sta facendo affacciare sul mercato altri Paesi produttori e nuove qualità».

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