Mose, ancora tre anni per la consegna, due rebus: il funzionamento e la gestione

Venezia, ormai a quota sei miliardi il costo delle dighe mobili, la cui manutenzione è già un problema di difficile soluzione

Cento milioni per aggiustare le “criticità” dell’opera, i guai e i lavori malfatti. Altrettanti ogni anno per la manutenzione di un’opera che vive sott’acqua. I costi del Mose non finiscono mai. E ai sei miliardi stanziati fin qui dallo Stato per la sua realizzazione se ne devono aggiungere ancora. Funzionerà il Mose? È questa la domanda che ricorre dopo il maltempo di fine ottobre e l’acqua alta eccezionale che ha allagato la città. Si torna a chiedere «il completamento rapido dell’opera», giunta oggi al 96 per cento del totale.

Ultime paratoie

Ma la situazione è complessa. Entro la fine di gennaio dovrebbe essere completata la posa delle ultime paratoie alla bocca di Lido-Sud San Nicolò. Alle bocche ne sono state installate già 69 (su 78). Ma una volta ultimata la posa delle barriere sott’acqua dovranno essere costruiti gli impianti per il sollevamento. Pompe che consentono di alzare le paratoie se riempite d’aria in caso di necessità. E di rimetterle sul fondo quando siano riempite d’acqua. Operazione che finora è stata fatta soltanto due volte, nel 2013 e nel 2016. In entrambi i casi le paratoie non sono rientrate nei loro alloggiamenti. I cassoni in calcestruzzo infatti, senza manutenzione continua, si riempiono di sabbia e detriti. Un altro problema del Mose. Insieme alle ossidazioni e ai buchi nelle tubature sott’acqua scoperti a Malamocco. Alla corrosione di alcune parti del sistema, come gli steli e i tensionatori nelle cerniere. Ma anche i cedimenti dei moli (lunate) pochi giorni dopo il collaudo, il danneggiamento della porta della conca di navigazione di Malamocco. Altra grande opera costata 600 milioni di euro. Voluta dal Porto e dal Comune, nel 2003. Ma adesso «troppo piccola», si scopre, per far passare le navi di ultima generazione. Una delle tante «stranezze» di un progetto nato in regime di monopolio assoluto, con la seconda Legge Speciale del 1984. Dopo trent’anni il grande scandalo del Mose ha consentito di far luce su un sistema di corruzione e di sprechi. Il padrone assoluto del Consorzio, Giovanni Mazzacurati, ha portato avanti la grande opera senza curarsi di studiare a fondo le alternative o di modificare i progetti in corso d’opera. Oggi il Mose è secondo alcuni scienziati anche superato. «L’aumento del livello medio del mare», dice l’ingegnere idraulico Luigi D’Alpaos, «ci costringerebbe ad alzare le paratoie ogni giorno. Facendo diventare la laguna uno stagno». Come difendersi allora dall’acqua alta? E dalle acque medio alte, aumentate in modo esponenziale negli ultimi vent’anni non solo per i cambiamenti climatici ma anche dopo scavi e interramenti che hanno profondamente trasformato la laguna?

Difendere la piazza

«Con le difese locali», dice D’Alpaos. La più importante è quella per difendere piazza San Marco. Che va sott’acqua, anche se per poche ore, quando la marea supera i 76 centimetri sul medio mare. Un vecchio progetto dei primi anni Novanta ne prevedeva l’impermeabilizzazione con il rialzo delle rive per impedire la risalita dell’acqua dai cunicoli e dai masegni. Ma solo una piccola parte di quel lavoro è stato fatto. La Basilica continua d andare sotto. E continuerà a farlo anche con il Mose finito e funzionante.

Obiettivo ancora lontano. Secondo il cronoprogramma inviato al governo dal Provveditore ale Opere pubbliche Roberto Linetti, i lavori del Mose devono essere conclusi nel 2018. Tre anni di collaudi e prove di avviamento. E la grande opera dovrà essere consegnata il 31 dicembre 2021. Restano due grandi incognite. Il funzionamento delle paratoie, soprattutto in condizioni di mare agitato. E la gestione e manutenzione di un sistema che ha bisogno di cure. La parola «fine» per la vicenda Mose non è ancora stata scritta.—

Alberto Vitucci

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