Monica Scarpa: «Servono criteri di meritocrazia, che premino la qualità a prescindere dal genere»

Le quote rosa non servono perché considerano le donne una specie protetta. Quello che serve è il riconoscimento del merito. La managerializzazione delle imprese familiari è un elemento a supporto dello sviluppo. Monica Scarpa, veneziana che ancora oggi vive in centro storico, mette in fila una serie di riflessioni sul ruolo che i dirigenti hanno o possono avere per lo sviluppo delle imprese.
Laurea in economia a Ca’ Foscari, ha iniziato la sua carriera in Arthur Andersen e in altre aziende multinazionali in Usa e Italia per poi approdare in Save nel 2001, dove ricopre la carica prima di CFO e poi di Amministratore delegato, guidando la società che gestisce il Polo aeroportuale del Nord Est sotto la presidenza di Enrico Marchi, socio e leader del Gruppo dal 2000.
Dottoressa Scarpa quali sono, secondo la sua esperienza, gli studi che aprono maggiori percorsi di carriera?
«Ritengo che i giovani debbano poter seguire la loro indole, poter studiare quello che più li appassiona perché gli anni della formazione – tecnica o universitaria che sia - sono quelli in cui ciascuno inizia a scoprire le proprie passioni e inizia a coltivare il talento. Poter trasformare poi queste passioni in “lavoro” è un compito difficile, il mondo della scuola e dell’università dovrebbero agevolare la transizione verso l’età adulta il più possibile. L’importante, a mio parere, è riuscire a immaginare e costruire il proprio curriculum, collezionando una serie di esperienze che ci facciano sentire pronti ad entrare nel mondo del lavoro. E non parlo solo del percorso di studi, ma anche di tutte le esperienze capaci di allenare le nostre soft skill: la capacità di lavorare in team, il pensiero laterale, l’empatia e la proattività. Comunque dalle competenze tecniche e specialistiche non si può prescindere. Ritengo che in Italia ci sia ancora necessità di migliorare la qualità dell’offerta formativa dei manager di domani».
È importante l’esperienza all'estero?
«Un’esperienza all’estero – di studio o di lavoro – è determinante. Penso che tutti i percorsi formativi debbano prevederne una e agevolare il più possibile i ragazzi e le loro famiglie, che spesso si trovano a sostenerne i costi».
Le donne restano nel capitolo gestione d’impresa in condizione di minoranza imbarazzante e vengono pagate meno a parità di posizione di responsabilità.
«Sono contraria alle quote rosa, penso che le donne con i propri meriti possano arrivare ovunque senza aiuti e senza necessariamente dover essere trattate come una “specie protetta”. E’ un problema di riconoscimento delle competenze e non di genere. Le donne, anche se hanno grandi capacità e potenzialità, si trovano spesso a confrontarsi con un contesto ancora pieno di discriminazioni. Basterebbe prendere coscienza dei molti studi che dimostrano come una maggiore inclusività coincida sempre con un miglioramento immediato delle performance in tutti i settori dell’economia, arrivando a incrementi di redditività del 28%, secondo le stime di EIGE (Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere)».
Parliamo di capitalismo familiare in rapporto con il management: come la managerializzazione, secondo lei, è stato un fenomeno che ha consentito la crescita delle imprese del territorio?
«Le imprese familiari, laddove siano guidate da imprenditori illuminati e dotati di visione strategica come avviene nel Gruppo SAVE, sanno mirare a costruire una squadra di manager che li supporta nella crescita e li accompagna a realizzare la strategia. In questo contesto, anche il ruolo dei manager esterni ha un’importanza sempre più rilevante per le imprese familiari, in quanto possono apportare competenze differenti e complementari a quelle esistenti. Un fenomeno che di certo ha consentito la crescita di molte imprese del territorio – anche in Veneto - e una tendenza che consente di rispondere al crescente aumento delle pressioni competitive sui mercati, che vedono nel ruolo della squadra di manager figure capaci di condividere e supportare la famiglia nelle responsabilità della gestione. Lo sviluppo formidabile avuto sia da Save che da Finint sotto la presidenza di Marchi è l’evidenza della lungimiranza dell’imprenditore e della sua capacità di costruire team manageriali all’altezza delle sfide».
Le statistiche indicano una necessità crescente di manager: come spiega questo fenomeno?
«Sono le sfide dell’attuale mondo del lavoro a richiedere competenze sempre più specializzate e capacità di adattamento da parte delle imprese. Gli equilibri geopolitici, le nuove tecnologie, l’innovazione, la crescita sostenibile, ma anche i “cigni neri” come le crisi che abbiamo appena attraversato, stanno modificando le regole del gioco, e anche molto velocemente».
Tornando alle donne, sempre le statistiche indicano una biforcazione. La parità di genere c'è tra junior manager, la forbice si allarga al crescere dell'età. Questo ci dice che non è solo una questione di formazione e che la maternità è ancora un elemento discriminante nei percorsi di carriera.
«Non è solo questione di creare regole e politiche che favoriscano il work-life balance e che agevolino e supportino le donne nel lavoro durante la maternità e quando i figli sono ancora piccoli. Servono criteri di meritocrazia che riconoscano la qualità del singolo, a prescindere dal genere. Una visione in cui tutti, istituzioni, imprenditori e manager siano coinvolti nella creazione di un nuovo patto per sostenere i percorsi di carriera delle persone, facendo collimare esigenze personali, professionali e anche sociali. Le nuove generazioni sono molto più attente a questi elementi, sono certa che il tempo e la determinazione potrà aiutare nell’eliminazione di questo gap».
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