Maniago e la partita vinta degli artigiani votati al mondo

La crisi ha colpito duro questo distretto ma gli imprenditori sopravvissuti hanno saputo puntare su estero, qualità e innovazione. Oggi questo "italian style" funziona

La possente spada scagliata da Mel Gibson, protagonista e regista del film Braveheart, si va a conficcare pesantemente sul terreno e oscilla per alcuni interminabili secondi. È il gesto simbolico della lotta degli scozzesi per la conquista dell’indipendenza dall’Inghilterra nel XIII secolo. Ma quell’arma è anche il segno di resistenza e robustezza dei materiali scelti per la sua fabbricazione. Così, nel tempo, proprio quello spadone è diventato l’immagine che, meglio di altre, raccoglie la “cultura del fare” di un intero distretto industriale. Non soltanto lavoro, ma anche design e arte. La forgiatura è stata effettuata nella bottega artigianale di Fulvio Del Tin, a Maniago, che è ormai punto di riferimento di registi e collezionisti. Dal suo laboratorio sono uscite anche le spade utilizzate nel film Robin Hood, con Kevin Costner. Nulla nasce dal caso. Alla lavorazione di coltelli e forbici, avviata negli anni ’60 dal padre Silvano, si è affiancata quella delle armi antiche, poi è rimasta solo quest’ultima, che fa leva sulla conoscenza della storia e sulla professionalità. «La scintilla è scattata dal successo a una mostra di Firenze. Così ho avviato la riconversione dell’attività familiare – spiega Del Tin – puntando sulla specializzazione. In pratica, riproduco i pezzi più pregiati esposti nei musei, o raccolti nelle collezioni private, che mi sono richiesti anche per uso teatrale e cinematografico. Il mio catalogo online è consultato in tutto il mondo. L’elenco dei clienti è assai vario: ad esempio, ci sono anche gruppi che organizzano le rievocazioni medievali proposte in vari paesi». L’evoluzione dei mercati degli utensili da cucina, il cui simbolo è il coltello, ha portato alcuni imprenditori ad abbandonare le lavorazioni tradizionali, quelle più povere di tecnologie e di design, per spingersi verso produzioni innovative e accattivanti per la loro bellezza.


Fabbri “da grosso” e “da fino”
Tutto prende forma a Maniago, che è stato l'epicentro della creatività dei batafiérs. Si è ramificata nei secoli un’efficiente divisione del lavoro: i fabbri “da grosso” producevano i semilavorati che i fabbri “da fino” utilizzavano nella diversificazione di centinaia di prodotti: dai coltelli da tavola e da cucina a quelli sportivi, dalle forbici per sarti a quelle per parrucchieri, dai cavatappi agli strumenti usati da chirurghi e dentisti, dalle spade alle armi antiche. Tutt’attorno alla città dei coltelli, fino a contagiare larga parte della pedemontana pordenonese, si è sviluppato un vero e proprio distretto che si è specializzato nella lavorazione del metallo nei laboratori artigiani, ancora incastonati tra le case, e nelle fabbriche che si dedicano a produzioni di ogni tipo, molte delle quali ricche di alta tecnologia come i componenti per parti d’aereo e le palette per turbine. Il segreto della lunga vita imprenditoriale sta nella capacità di auto-generare le risorse umane e di credere in ogni tipo di innovazione per adeguarsi alle mode e ai mercati. «Ci ha salvati la risposta immediata ai cambiamenti. Abbiamo abbandonato i sistemi tradizionali – racconta Renzo Fantoni, titolare dell’omonima ditta che fa da capofila in alcuni lavori su commessa – per puntare su lavorazioni di materiali sofisticati con l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia. Ciò che produciamo rispetta livelli eccellenti di qualità. Per i coltelli garantiamo l’efficienza del taglio e la resistenza alla ruggine. Il messaggio è chiaro: non bisogna aver paura delle novità, soprattutto noi che possiamo contare sul valore aggiunto di un territorio che garantisce una profonda cultura della conoscenza. Dopodiché è necessario sfruttare le potenzialità di ogni mezzo, a partire da internet, perché il futuro delle vendite è lì».


Selezione darwiniana
Chi si ferma è perduto. L’ultima Grande Crisi ha provocato una tremenda selezione darwiniana, che di fatto ha accentuato un fenomeno già in corso. I numeri sono impietosi: delle 250 imprese che operavano nel settore specifico dei coltelli, negli anni del boom ’80 e ’90, oggi ne sono rimaste poco più di una settantina per circa 500 posti di lavoro. Altrettante sono presenti nel settore metallurgico (1.500 gli addetti), praticamente dimezzato. Nonostante tutto, resta in vita (e in ripresa) un distretto di nicchia, territorialmente concentrato, e ad alta specializzazione manifatturiera. Le aziende che hanno resistito alle turbolenze economiche si sono mantenute nella traiettoria della migliore competitività possibile. Molte di esse hanno portato a termine una complessa metamorfosi che ora le mette nelle condizioni di combattere battaglie di ogni tipo, non soltanto quelle imposte dai mercati ma anche quelle gravose scatenate da una burocrazia ossessiva e da un carico fiscale abnorme. Sarebbe importante far funzionare il gioco di squadra (strategia per altro difficile in tutto il Nordest). Il distretto, inteso come contenitore, è in liquidazione, però resta vivo il tentativo di riunire tante vivaci individualità attorno al marchio “Q Maniago”, che esprime qualità. Ci sono numerose microstorie imprenditoriali che tengono accesa la tradizione.


L’ “Italian Style” funziona
Le campane non battono più a morto. I fatturati delle imprese più innovative navigano in terreno positivo ormai da alcuni trimestri. Per la verità, sono più reattive le aziende legate ai mercati esteri, rispetto a quelle che vivono prevalentemente di domanda interna, perché l’Italian Style funziona. Gli ultimi dati (l’intero 2015) registrano per il distretto maniaghese un export di 103 milioni di euro, con un incremento di quasi il 9% sull'anno precedente. Le esportazioni toccano diverse mete: Stati Uniti (25%), Germania (20%), Francia (10%), Gran Bretagna (5%), Austria (3%) e da un po’ di tempo si affacciano anche i Paesi emergenti. Il portafoglio-clienti è ben diversificato per ridurre i rischi di un’eccessiva concentrazione. Ebbene, quali sono state le mosse che hanno garantito la rigenerazione imprenditoriale? «Abbiamo alzato l’asticella della competizione. Ci siamo riposizionati nel cuore della specializzazione in una fascia medio-alta – spiega Gianni Pauletta, che con i fratelli gestisce la LionSteel, azienda con una ventina di dipendenti fondata dal padre Gino, che mantiene la supervisione – e abbiamo così portato a termine un percorso virtuoso di innovazione di processo e di prodotto. Da una lavorazione di tipo tradizionale, legata soprattutto al mercato locale, siamo saliti a livelli di eccellenza con una serie di modelli ricchi di valore aggiunto. Ora guardiamo con fiducia al mondo intero».


Fiere di tutto il mondo
L’evoluzione produttiva della LionSteel sta lì, raccolta in un elegante catalogo pronto per le principali fiere di tutto il mondo: «Sì, perché internet è uno strumento meraviglioso, ma contano ancora i rapporti personali con i distributori che conoscono le culture locali. Non possiamo affidarci soltanto all’e-commerce». In pratica, con mani intelligenti e tradizioni antiche (sul solco dell’Homo faber e dell’Homo digitalis), l’artigiano moderno lavora la materia prima, la modella, la perfeziona e la nobilita sino a farla diventare un prodotto utile e bello, da collocare sui mercati di tutto il mondo. La ricetta delle strategie è racchiusa nella sintesi proposta da Gianni Pauletta: «Siamo entrati nel cerchio magico dei coltelli sportivi mettendoci idee, tecnologia e innovazioni continue. Quando raggiungiamo un obiettivo siamo già pronti a spiccare il volo per raggiungerne altri. Così va il mondo, oggi. La qualità non ha prezzo. Accanto all’artigiano devono operare i designer, in modo da avviare un flirt tra prodotto e gusto della moda». In fin dei conti, quella indicata è la strada maestra della creatività made in Italy, l’unica in grado di sbarazzarsi dei concorrenti più appiccicaticci e più spigolosi: i cinesi. «Loro meritano grande rispetto – spiega Gianni Pauletta – perché sono grandi lavoratori capaci di produrre ad alti livelli. Li possiamo battere con le armi della nostra cultura, che sono storia, inventiva, design, capacità di sviluppare un brand che assorbe ogni novità. Certo, i cinesi hanno il vizietto di copiare. Beh, dobbiamo difenderci. E qui si tocca il tasto stonato della Ue che non tutela neanche i marchi certificati. Eppure, soltanto l’Unione europea ci potrebbe aiutare, ma deve battere un colpo».
In realtà, la miglior difesa sta nella forza del territorio, il cui Dna è fatto di tradizioni e di competenze professionali. Si è creato nei secoli un concentrato di specializzazione, un unicum che si trova soltanto lì, a Maniago, senza la possibilità di essere clonato altrove, in quattro e quattr’otto.
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