Lo scontro Tria-Cinque Stelle e l’eterno rinvio del decreto rimborsi

ROMA. Fumata nera sulle banche. Via libera al decreto crescita, ma «salvo intese». E un duro scontro in Consiglio dei ministri. «La pazienza è finita», dice Luigi Di Maio a Giovanni Tria. Ma la Lega fa sapere agli alleati che la pazienza è finita davvero: «Basta no, il governo cambi passo». Il decreto sulla crescita c’è: è Conte il primo a voler accelerare, si sottolinea. Il premier Giuseppe Conte si incarica di una nuova, difficile, mediazione. Lunedì vedrà i risparmiatori coinvolti nelle crisi bancarie. Il M5S gli chiede di tenere la linea di rimborsi «diretti» e senza contenzioso.
Ma se così sarà, avrebbe avvertito Tria, Conte dovrà assumersi la responsabilità di firmare il decreto per i rimborsi: il ministro non intende firmare norme a rischio di procedura Ue. «Vince la linea Di Maio», esulta il Movimento 5 Stelle. Perde la linea Tria, è il sottinteso. Ma il ministro non replica e da via XX Settembre non trapela nulla.
La norma sui rimborsi, per il veto grillino, non entra nel decreto crescita. Ma non passa neanche, per ora, la linea pentastellata che chiede un binario unico e «diretto» per i ristori. Il presidente del Consiglio Conte, con Di Maio, lunedì convocherà a Palazzo Chigi le associazioni dei risparmiatori per concordare la norma che dovrebbe essere varata in un nuovo consiglio dei ministri martedì.
La riunione fiume, di oltre tre ore, porta all’approvazione del decreto sulla crescita. Ma anche su questo testo c’è ancora da lavorare e infatti passa “salvo intese”: il dl cresce fino a contenere oltre 50 articoli ma fonti governative dicono che così rischia di non passare il vaglio del Colle e quindi servirà un supplemento di esame. Dentro c’è la norma su Alitalia voluta dal ministero guidato da Di Maio per convertire il prestito ponte di Alitalia in equity e consentire eventualmente allo Stato di entrare nella newco. Il premier annuncia che è in dirittura d’arrivo anche il decreto sblocca cantieri approvato salvo intese in due settimane fa: dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta ufficiale in due o tre giorni. Ma in serata il testo non risulta giunto al Quirinale.
La battaglia nel governo si consuma comunque soprattutto sulla norma che riguarda i risparmiatori coinvolti nelle crisi bancarie. Le «fazioni» (copyright del leghista Claudio Durigon) arrivano in Consiglio dei ministri l’un contro l’altra armate: da un lato i Cinque stelle, dall’altro Tria (la Lega ufficialmente non si schiera, ma difende la proposta del ministro).
Dietro, si celano le tensioni accumulate negli ultimi mesi tra il Movimento 5 stelle e il titolare del Mef. Di Maio e Tria sono tra i primi ad arrivare a Palazzo Chigi, si incrociano nei corridoi della presidenza del Consiglio. Ma, a quanto viene riferito, non si fermano a parlare. Il vicepremier, che nell’Aula del Senato ribadisce la richiesta al Mef di «firmare il decreto», nel suo ufficio dettaglia con gli altri esponenti M5S una linea tutta d’attacco. Non serve una nuova norma inserita nel decreto crescita: bisogna mantenere la promessa ai risparmiatori di risarcire tutti e quindi attuare la norma contenuta nella manovra e bocciata dall’Ue. Con la soluzione proposta da Tria «si bloccano le procedure», attacca il M5S.
Ma anche il ministro dell’Economia tiene il punto. Serve una nuova norma che fornisca uno scudo ai funzionari del Mef contro possibili ricorsi alla Corte dei Conti, indicando Consap come ente erogatore dei risarcimenti. E poi un doppio binario per i risarcimenti: con una corsia preferenziale con Isee inferiore ai 35mila euro e patrimonio inferiore ai 100mila euro e controlli arbitrali su quelli di entità superiore. La Lega, rappresentata da Giancarlo Giorgetti, invita a tenere conto del rischio di procedura Ue: i risparmiatori rischiano di dover restituire quanto percepito. L’atmosfera è gelida. «Serve l’accordo delle associazioni», dice Di Maio. Conte media: bisognerà dettagliare meglio le norme, ma solo dopo aver visto le associazioni.
Il ministro dell’Economia resta comunque nel mirino del M5S. Il governo, assicura Di Maio, è compatto e l’idea di sostituire Tria con un ministro leghista va incasellata alla voce «miti e leggende». Bisogna «lasciare stare» Tria, arriva a dire. Da Palazzo Chigi nel pomeriggio smentiscono che Di Maio abbia posto il «problema» Tria al premier Conte. Ma dalle fila del Movimento confermano che il problema esiste e potrebbe finire nella discussione su un rimpasto dopo le europee.
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