L’intervista al premio Nobel Simon Johnson. Nel 2010 disse: “Quello che conta è mantenere sotto controllo il debito e attuare misure fiscali credibili”
Un’intervista d’archivio concessa dal premio Nobel al Piccolo. Siamo nel giugno 2010 nel pieno della tempesta finanziaria scatenata dal declassamento del debito pubblico greco a junk bond avvenuta in aprile

Simon Johnson, ex capo economista del Fondo monetario internazionale, oggi docente di sviluppo imprenditoriale al Mit Sloan School of management di Cambridge, è stato premiato con il Nobel per l’economia 2024 assieme a Daron Acemoglu e James A. Robinson per i loro "Studi sulla formazione delle istituzioni e la loro influenza sulla prosperità" nei vari Paesi.
Qui sotto un’intervista d’archivio concessa dal premio Nobel al Piccolo. Siamo nel giugno 2010 nel pieno della tempesta finanziaria scatenata dal declassamento del debito pubblico greco a junk bond avvenuta in aprile. La Grecia si trova schiacciata da un debito di 350 miliardi di euro. Accedere ai mercati finanziari è impossibile, perché i titoli di Stato della Grecia sono classificati al livello di “spazzatura”. Si inizia a parlare, su più fronti, di uscita dalla zona euro. E a proposito dell’Italia diceva: “Quello che conta è mantenere sotto controllo il debito e attuare misure fiscali credibili”.
Due anni dopo Mario Draghi, Presidente della Banca centrale europea, sul palco della conferenza di Londra avrebbe posto fine alla tempesta finanziario sul debito della zona euro con una frase che sarebbe passata alla storia: ‘Entro il suo mandato la Bce preserverà l’euro, costi quel che costi (whatever it takes). E, credetemi, sarà abbastanza’”.
DALL’ARCHIVIO DEL PICCOLO
11 giugno 2010
di PIERCARLO FIUMANÓ
Simon Johnson, ex capo economista del Fondo monetario internazionale, oggi è docente di sviluppo imprenditoriale al Mit Sloan School of management di Cambridge. Co-fondatore del sito BaselineScenario.com, nel suo ultimo libro ("13 bankers") accusa le banche Usa e gli hedge fund di avere accumulato un potere enorme all'insegna del detto "too big to fail" (troppo grandi per fallire): «La crisi, come ha dimostrato il caso ungherese, è più grave di quanto si potesse pensare. Anche Paesi come la Francia, che hanno i conti sotto controllo, stanno iniziando a dare segnali di difficoltà. La crisi della finanza e la continua richiesta di liquidità potrebbero peggiorare la situazione».
L'euro riprenderà quota?
L'euro continuerà a essere sotto pressione ma non correrà rischi. Nel breve periodo il suo valore diminuirà ancora favorendo le imprese esportatrici grazie al vantaggio del cambio. La moneta unica europea resta tuttavia una valuta solida e sicura.
In quale misura la debolezza dell'euro è una conseguenza della speculazione sui mercati?
Credo che anche l'andamento dell'euro sia influenzato dalla psicologia dominante sul mercati. Non assistiamo a un fenomeno di speculazione pura quanto un effetto dell'attività dei fondi di private equity e dei fondi pensione che esercitano una pressione sul mercato per tornare ai valori antecedenti la crisi.
Qual è lo stato di salute delle banche europee?
Direi che le banche tedesche sono al sicuro in un sistema di aiuti pubblici dove il governo di Angela Merkel ha varato robuste misure di sostegno all'economia. Sono molto più preoccupato per la tenuta delle banche francesi che soffrono la forte instabilità sui mercati.
La Banca centrale europea, che ha garantito i bond nazionali di Stati a rischio come la Grecia, si sta avvicinando al modello interventista della Fed americana?
È possibile. Ma c'è una sostanziale differenza. Non esistono bond "europei" ma di Italia, Germania o Grecia. La tendenza è quella di avvicinarsi al modello Fed ma per ora non è realizzabile.
Condivide le misure di austerity adottate da diversi Paesi europei, compresa l'Italia?
Quello che conta è mantenere sotto controllo il debito e attuare misure fiscali credibili. Sul fronte dell'occupazione ogni Paese presenta un quadro diverso, anche per una diversa intensità delle politiche pubbliche. Basti pensare al forte balzo della disoccupazione in Spagna e una relativa tenuta degli occupati in Germania. Un discorso valido anche sul fronte fiscale: in Usa oggi c'è spazio per aumentare le tasse, ma in Europa sono già molto alte e diventa difficile immaginare strette fiscali.
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