La sfida degli artigiani, dalle botteghe alle griffe

La mostra Homo Faber di Venezia mette in luce le eccellenze dei mestieri che, nel Nord Est, attirano l’industria del lusso. Eppure, in un mondo dove pochi hanno saputo scalare di dimensione, oggi emergono difficoltà non facili da superare
Riccardo Sandre
La bottega veneziana di Sergio Boldrin, che produce maschere per clienti internazionali (Foto Dario Garofalo)
La bottega veneziana di Sergio Boldrin, che produce maschere per clienti internazionali (Foto Dario Garofalo)

Da ieri e fino al 30 settembre sarà aperta, in una Venezia che accoglie anche l’ottantunesima Mostra del Cinema e la sessantesima Biennale d’Arte, la mostra Homo Faber 2024 – The Jouney of Life, il viaggio della vita. Un evento il cui cuore è ospitato dalla fondazione Cini all’Isola di San Giorgio e i cui muscoli pulsanti sono sparsi in tutta la città grazie a 70 maestri artigiani veneziani, pronti ad accogliere i colleghi che arrivano da tutto il mondo, attirando un pubblico internazionale.

La rassegna biennale, curata dalla Michelangelo Foundation in collaborazione con la Fondazione Cologni e la Fondazione Giorgio Cini, vede per questa sua terza edizione la direzione artistica di Luca Guadagnino e Nicolò Rosmarini ed ospita 800 oggetti realizzati da 600 artigiani provenienti da 70 Paesi. Un modo per raccontare un percorso quotidiano che testimonia i talenti di uomini e donne creatori delle nuove forme della bellezza.

«Prima ancora di essere una raccolta di oggetti di eccezionale fattura Homo Faber è una proposta, una lettura del reale» spiega Alberto Cavalli, direttore esecutivo della Michelangelo Foundation. «Ormai da quasi vent’anni ci si interroga sul ruolo che l’artigiano possa avere in un contesto in cui le tecnologie sembrano accompagnare l’umanità verso una direzione che sembra opposta. Noi siamo convinti che l’artigianato sia un metodo, un approccio alla comprensione della realtà. Negli occhi degli artigiani si vede spesso una scintilla. Il genio creativo di chi affronta la materia e la trasforma, dando un nuovo senso al mondo e agli oggetti. E tutti avremmo da imparare da un approccio che è una parte importante dell’economia della bellezza».

Secondo uno studio di Banca Ifis dal titolo proprio di “Economia della Bellezza” il complesso comparto trasversale che interessa il settore della manifattura “design driven”, del turismo e delle imprese “purpose driven” (quelle nei cui modelli di business è fortemente presente l’attenzione al cliente, al contesto e al brand) hanno generato nel 2023 il 29,2% del Pil italiano, circa 595 miliardi, di euro con una crescita di 96 miliardi (+3%) sul 2022.

In questo ambito l’artigianato d’eccellenza ha un ruolo di importante contributore, capace di attirare l'attenzione dei grandi investitori industriali e finanziari, come testimoniano le tante acquisizioni dei gruppi del lusso su territorio italiano e del Nord Est in particolare. Eppure non è un segreto che il mondo artigiano viva una fase di trasformazione profonda fatta di una contrazione del numero delle imprese (meno 18,3% quelle attive in Friuli Venezia Giulia tra il 2012 e il 2023 e addirittura meno 23,4% in Veneto) ma anche, per lo meno in parte, di una crescita dimensionale delle stesse.

In questo contesto l’implementazione tecnologica, la difficoltà nei passaggi generazionali, l’evoluzione dei modelli di business sono alcune delle criticità che il progetto Homo Faber Economy, finanziato dalla Regione Veneto e promosso da Ca’ Foscari in partnership con Fondazione di Venezia e Upskill 4.0, ha scelto di affrontare a partire dal territorio veneziano. «I nostri obiettivi sono sostanzialmente due» spiega Selena Brocca, direttrice generale di Upskill 4.0. «Da una parte puntiamo a rivitalizzare le aziende dell’alto artigianato veneziano, dall’altra lavoriamo per rendere queste imprese protagoniste di una nuova economia urbana grazie all’innesto di competenze manageriali e tecnologiche. Un obiettivo che affrontiamo con campagne di sensibilizzazione sui temi della sostenibilità e del digitale, formando gli artigiani nelle competenze gestionali e digitali ma anche con percorsi di accompagnamento all’avvio d’impresa per nuovi artigiani 4.0».

E se è vero che la penetrazione delle nuove tecnologie è ancora in fieri, è vero anche che per gli artigiani di successo, soprattutto nel mondo della manifattura tradizionale ad alto valore aggiunto, il digitale è già uno strumento di lavoro e promozione imprescindibile che lascia però intatta l’unicità delle soluzioni creative. Lo testimonia il caso, ad esempio, di Merletti d’Arte Martina Vidal, che sfrutta la realtà aumentata e virtuale per far conoscere la storia del prodotto e dare valore aggiunto alla lavorazione tradizione del merletto di Burano, oppure quello del sarto veneziano Ramo Salso, che riconverte capi abbandonati negli armadi in indumenti innovativi con una forte attenzione alla sostenibilità.

A interrogarsi sul rapporto che c’è tra artigianato, industria manifatturiera e Made in Italy è Gianluca Toschi ricercatore senior della Fondazione Nord Est. «La sartorialità, la capacità creativa, l’attenzione alle esigenze del cliente e la produzione in serie più o meno limitate per farsi largo in nicchie di mercati già presidiate da grandi gruppi globali sono elementi strutturali anche delle Pmi internazionalizzate del Nord Est - spiega Toschi. - Proprio questo territorio, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, è stato in grado, come ha ricordato l’economista Enzo Rullani, di cogliere l’occasione della fine del fordismo per inserirsi nelle catene globali del valore. Un’opportunità resa più facile dalla diffusione di un brand, quello del Made in Italy, che non è appannaggio solo del settore del lusso».

Ma il Made in Italy, che nel suo retaggio ha l’eccezionale patrimonio storico e artistico della Penisola, non è un assioma immutabile. Ha bisogno di vivificarsi periodicamente con nuove espressioni: negli anni ‘50 e ’60 è stato l’immaginario del neo realismo, di Fellini e della Dolce Vita, nel decennio successivo il design di Castiglioni, Munari, Ponti, e poi ancora la moda degli anni ’80 e ’90 ed ora un Food&Wine che sta subendo, di recente, attacchi a diversi livelli. In un territorio policentrico per storia e per vocazione come è il Nord Est, l’occasione di una vetrina autenticamente globale come la Venezia delle grandi mostre può essere un contributo per lo sviluppo di una nuova espressione del Made in Italy che proprio grazie all’artigianato come metodo, può ottenere un’ulteriore scintilla di vitalità. 

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